La classifica dei momenti più eccitanti nella tranquilla storia millenaria della splendida Isola d’Elba – un posto talmente pazzerello che i greci antichi, simpatici, lo ribattezzarono Aithalìa per la quantità di fuliggine (“aithàle”) che veniva prodotta – è strana perché dal 1° al 331° posto, uno per ogni giorno di permanenza, c’è Napoleone Bonaparte. Poi si cala un po’, e al 332° c’è quella volta in cui gli etruschi hanno scoperto che sull’isola c’era il ferro. Al 333° posto invece c’è Fabrizio, il calzolaio di Marina Marciana che una volta giura di aver fatto 13 al Totocalcio ma poi si è dimenticato di giocare la schedina.
Il 1° marzo del 1815 l’Imperatore nato nella vicina Corsica lasciava per sempre l’isola toscana, promesso sposo di nuovi e più remoti confini, mettendo fine a dieci mesi bizzarri ed elettrizzanti in cui l’uomo più enorme (non letteralmente) del mondo dell’epoca era riuscito a cucirsi su misura il posto più piccolo (non letteralmente) d’Europa. Non che avesse molta scelta, il buon Napoleone. Anzi. Aveva strappato un accordo vantaggioso per uno che era stato ben sconfitto, ottenendo la promozione dell’arcipelago dell’Elba (Giglio e Capraia comprese) a Principato da lui retto, in cambio della rinuncia (per sé e per i suoi eredi) ai diritti dinastici al trono di Francia. L’unica alternativa possibile era Corfù, ma l’ex imperatore preferì l’aria di casa del Tirreno: «Ho scelto l’Isola d’Elba considerando la dolcezza dei costumi dei suoi abitanti e la bontà del clima. Essi saranno l’oggetto costante del mio interessamento più vivo», ebbe a scrivere Napoleone.
E infatti sì. Nel senso che nell’aprile del 1814, dopo essersi assicurato (dormendo una notte sulla fregata che l’aveva portato fin lì) che gli elbani non volessero farlo in cacciucco, Napoleone sbarca sull’isola carico come una molla, ancora con l’occhio spiritato dell’imperatore illuminista generalissimo, avviando una serie di lavori infrastrutturali per ammodernare l’Elba e rendere più semplice la vita degli allora 13mila abitanti. Poi sceglie un motivo significativo per la bandiera del suo nuovo protettorato: tre api d’oro, che richiamano la dinastia dei Merovingi e la simbologia del potere nell’antico Egitto (obbedienza e fedeltà); ma che durante la sua carriera da Imperatore sono anche state il simbolo riservato alle Bonnes Villes, le piccole città che si dimostravano particolarmente devote alla corona.
Quello che le entusiastiche cronache elbane continuano tutt’oggi a raccontarci – di quei dieci mesi e di tutto quel bene che Napoleone si è lasciato dietro – ha la caratteristica di tanti resoconti storici di eventi (tra virgolette) minori: semplificare il più possibile e lisciare tutte le asperità per incastrare per bene quel pezzetto di storia in un mosaico più grande. Eppure lo sappiamo che non esiste nulla al mondo in grado di metterci tutti d’accordo al 100%. Alcuni addirittura non saranno d’accordo con quest’ultima affermazione, altri con quella di seguito appena riportata; e via così all’infinito, con qualcuno a contestare il concetto stesso di infinito. Ci sarà stata dunque una persona che, quando il Maire (il sindaco dell’epoca) dell’Elba ha consegnato le chiavi dell’isola a Bonaparte, invece che applaudire insieme a tutti gli altri abbia pensato forte: «Quelle sono solo le chiavi della sua cantina colorate d’oro con la porporina!». Storia vera. Sia le chiavi della cantina, sia il fatto che dev’esserci stato più di qualcuno infastidito dall’arrivo di Napoleone sulla sua isola. La Storia con la maiuscola queste cose, per comodità, le lascia in un cantone; e al suo posto, di solito, arrivano le arti varie.
Nel 2000, Ernesto Ferrero vince il Premio Strega con N., resoconto dell’esilio napoleonico visto attraverso gli occhi del poco convinto bibliotecario elbano che fu assegnato agli incartamenti dell’Imperatore. Nel 2006, Paolo Virzì si ispira vagamente al romanzo per realizzare, forse, il suo film più ambizioso, N (Io e Napoleone). Ambizioso perché il regista toscano vuole far convivere un respiro storico, internazionale (Bonaparte è interpretato da Daniel Auteuil) e da produzione in costume lussuosa con un’anima fortemente legata alla tradizione più nobile della commedia all’italiana, alto e basso (come toni e come temi) che si alternano e si confondono.
Non contento, Virzì sente il bisogno di punzecchiare lo zeitgeist e insiste più di una volta – «Il miracolo elbano», oppure l’ultra citato «Mi consenta» – sul parallelismo fra Napoleone Bonaparte e Silvio Berlusconi. Per i giovani all’ascolto: è vero che oggi, a vedere quel vecchino tutto tirato dietro le orecchie di Berlusconi con in braccio Dudù, viene un po’ da sorridere all’idea di paragonarlo a un tiranno; ma all’epoca c’era un sacco di gente davvero preoccupata, e il parallelismo del film era più a livello delle qualità divisive che caratterizzano entrambe le figure.
In N (Io e Napoleone), il protagonista Martino (Elio Germano) viene di molto ringiovanito rispetto al libro e assume i tratti di un idealista che dichiara apertamente il suo odio per il mostro corso invasore d’Europa. Il cuore del film sta nel confronto con il simulacro del potere e con l’umanizzazione del mito, ma anche nel percorso di un giovane uomo pieno di sogni accecanti di rivoluzione (come quello con cui si apre la narrazione), che scende a patti con una realtà più complessa di quanto non si aspettasse; una realtà che finisce per ingannare il giovane, sconfiggerlo e appiattirlo. Anche se c’è spazio per un ultimo rigurgito d’orgoglio; che, come da tradizione malinconica della miglior commedia all’italiana, arriva un po’ troppo tardi.
Il film
N. Io e Napoleone
Commedia - Italia/Francia 2006 - durata 110’
Regia: Paolo Virzì
Con Daniel Auteuil, Monica Bellucci, Elio Germano, Francesca Inaudi, Valerio Mastandrea, Sabrina Impacciatore
Al cinema: Uscita in Italia il 13/10/2006
in streaming: su Infinity Selection Amazon Channel
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