In Le mystère Picasso (1956) di Henri-Georges Clouzot, Pablo Picasso realizza 20 quadri utilizzando inchiostri speciali, che colavano su una superficie semitrasparente. Un esperimento per provare a catturare il mistero della creazione in diretta, con la pittura che si anima davanti a una macchina da presa.
Questo peculiare film d’arte è tra le fonti d’ispirazione della regista d’animazione francese Florence Miaihle, che, fin dagli studi (si è formata alla scuola di Arts Décoratifs di Parigi, specializzazione in incisione), sognava di «mettere in movimento il dipinto», unendo pittura e cinema. E ci riesce mirabilmente con i suoi lavori, «films peints», “film dipinti”, affinando negli anni una tecnica artigianale che prevede disegni a pastello o a tempera a olio animati su vetro o carta: «È un dipinto che si anima direttamente sotto la telecamera», spiega in un’intervista, «ogni disegno cancella e sostituisce il precedente. Man mano che le trasformazioni avanzano, scattiamo foto. [...] L’immagine si sviluppa gradualmente».
Nel 1991 firma il suo primo corto, Hammam (su YouTube), in cui due ragazzine entrano per la prima volta in un bagno turco: il loro ingresso in un piccolo mondo fatto di vapori e figure di donne nude è un acquatico e coloratissimo elogio della femminilità, una sensuale esaltazione del corpo femminile, quasi un rito in cui la nudità crea comunione, sorellanza - un gioiello che pare l’ideale incontro tra Le grandi bagnanti di Cézanne e il doc Smoke Sauna di Anna Hints, dove i corpi delle protagoniste si trasformano in paesaggi quasi astratti.
E il corpo è elemento centrale in tutto il cinema di Miaihle, lo si vede in Au premier dimanche d’août (2000), disponibile gratuitamente su ARTE fino al 1º giugno 2025. Il corto, premiato con il César, mette in scena una festosa domenica estiva in un villaggio nel sud della Francia, una lunga notte durante la quale i cittadini di ogni età volteggiano sulla pista da ballo.
La materia dei dipinti prende vita in una vorticosa danza - come quella di Henri Matisse, tra gli artisti amati dalla regista -, un girotondo che si fa universale simbolo della vita: in un susseguirsi musicale che passa dal valzer al rock ’n’ roll, dal lento al tango, bambini, ragazzi, adulti e anziani piroettano insieme, disegnati con colori accessi e tratto fauvista (i fauves sono un’altra ispirazione per Miaihle, insieme a Picasso e Braque).
I corpi per la regista sono sempre in movimento, come quelli dei ballerini di Au premier dimanche d’août o quelli dei giovani migranti del suo primo (e per ora unico) lungo, La traversée (2021), che ha richiesto una lavorazione di circa tre anni e mezzo, con oltre 500 fondali dipinti, sui quali poggiare una lastra di vetro e far muovere i vari personaggi.
Nel film, il racconto di migrazione dei fratelli protagonisti - Kyona e Adriel, costretti ad abbandonare il loro villaggio (il fittizio Novi Varna, nell’Europa orientale) e a passare da un territorio all’altro - indossa i panni meravigliosi della fiaba (i due come Hansel e Gretel o Pollicino), tono che riveste altri corti della cineasta, da Shéhérazade (1995), ispirato a Le mille e una notte, a Les oiseaux blancs, les oiseaux noirs (2002), da un racconto africano, fino a Méandres (2013), che pesca dalla mitologia greca - una propensione per il racconto fantastico, mitico, talvolta esotico, che ricorda le leggende di luci e ombre di un altro grande maestro dell’animazione francese, Michel Ocelot.
In La traversée, favoloso romanzo di formazione, Miaihle inserisce poi frammenti autobiografici: la nonna ebrea era fuggita da Odessa, dai progrom di inizio Novecento; la madre (pittrice) era scappata con il fratello dalla Francia occupata, durante la Seconda guerra mondiale, conservando un taccuino sul quale disegnare persone incontrate e luoghi attraversati, lo stesso taccuino che compare nel film.
Fantasia e memoria si fondono ancora nell’ultimo lavoro della regista, Papillon (2024), presentato alla scorsa Berlinale: qui un uomo nuota e, tra una bracciata e l’altra, fa tornare a galla gli episodi della sua esistenza, toccando nodi cruciali della Storia (i campi di concentramento); il ritmo dell’immersione in acqua e del riemergere in superficie segue il moto ondulato dei ricordi.
Nel cinema di Florence Miaihle la storia piccola, privata, familiare s’impasta con quella collettiva, universale, trovando nella forma pittorica - che prende vita, si muove, danza tra i colori - la sintesi perfetta tra le due dimensioni, e tra fantasticherie e ricordi, sogni e traumi, lasciando la porta aperta all’inaspettato, alla particolarità, al mistero: «Questo è ciò che mi piace, trovarmi di fronte alla materia viva, che dà doppiamente vita ai personaggi, che accetta il caso, i difetti, gli incidenti. Il dipinto è vibrante».
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