Nei giorni scorsi Papa Francesco ha incontrato i comici perché dice che il talento degli umoristi è un dono prezioso e che si può ridere anche di Dio. Questo lo diceva mentre stringeva la mano di Stephen Colbert, ovvero un tizio estremamente divertente. Subito dopo ha salutato Massimo Boldi, e non so mica se ha cambiato idea. Comunque, il Papa ha incontrato i comici e noi non parleremo di quello. Un po’ perché avevamo già dato spazio a un comico papalino, un po’ perché negli ultimi tempi sono successe faccende umoristiche che hanno coinvolto molte, ma molte più persone. Il 5 maggio, infatti, Netflix ha trasmesso live uno spettacolo di roast, una sessione lunga tre ore di presa per il culo ai danni di Tom Brady, che dall’altra parte dell’oceano considerano il miglior giocatore di football americano di sempre, oltre a essere (oggettivamente) il più vincente. Lo show è stato visto da più di due milioni di telespettatori in diretta, ed è diventato in fretta uno dei titoli di Netflix più visti a livello internazionale.
Non parleremo nemmeno di questo, per un paio di motivi più che validi: come le sparatorie nei licei, il roast e il football americano sono modi di esprimersi così clamorosamente statunitensi, che il resto del mondo fatica a comprendere la passione viscerale che scatenano negli amici a stelle e strisce. Se leggete la pagina di wikipedia che ho linkato più su, dice che il termine roast è diventato popolare grazie a Reddit. È una scemenza, nel senso che è valida solo al di fuori degli USA. Il roast è una forma comica che negli Stati Uniti esiste da quasi un secolo. In teatro, a New York, dalla fine degli anni 40. In tv, patrocinato nientemeno che da Dean Martin, è apparso al grande pubblico sin dagli anni 70. Quella di fare a gara a chi insulta nella maniera più divertente – andandoci giù anche belli (belli) pesante – è un’espressione comica ben canonizzata e tipicamente statunitense. Presi singolarmente, certi spezzoni di spettacoli di roast possono essere divertenti; ma tre ore a prendere per i fondelli un tizio che preferisce lanciare una palla ovale piuttosto che restare sposato con Gisele Bündchen, in Italia diventa davvero una roba da addetti ai lavori. Anche no.
In mezzo a tanti comici, ospiti speciali e lanciatori e/o ricevitori di palle ovali che sono intervenuti a The Roast of Tom Brady, tuttavia, si è infilato un outsider sconosciuto al grande pubblico che ha clamorosamente rubato la scena ai colleghi – e agli sportivi, alle Kim Kardashian e ai Ben Affleck che leggevano dal gobbo quello che altri hanno scritto per loro. Tony Hinchcliffe ha fatto soffocare dalle risate il resto dei comici presenti, che già lo conoscevano, e ha fatto scompisciare la maggior parte del pubblico globale di Netflix che non era a conoscenza dell’esistenza di un tale assassino. Da undici anni, Hinchcliffe produce, presenta e anima Kill Tony, un podcast/spettacolo live che ogni settimana viene registrato in un comedy club davanti a un pubblico in carne e ossa. Fondamentalmente ha plasmato un format che in senso ampissimo – podcast condotti da comici – è diventato uno standard; in senso ampio – podcast registrati in diretta con un pubblico – è già arrivata anche da un po’ in Italia e Tintoria è l’esempio più bellissimo di tutti; e in senso stretto stretto è ancora qualcosa che solo Kill Tony può permettersi di fare (anche se Frank Matano ha preso in prestito il format e ci sta provando con Over Sympathy – Pensi di far ridere?).
Ma qual è il senso stretto stretto di Kill Tony? Facile: un secchio con dentro i nomi di tutti gli aspiranti comici che vorrebbero esibirsi quella sera; chi viene pescato vince la possibilità di esibirsi in un set di un minuto, senza interruzioni; chi si esibisce e “uccide” il pubblico [nel gergo comico USA: quando vai alla grande il verbo da usare è “kill”, quando hai fatto schifo è “bomb”] ma soprattutto “uccide” Tony, tornerà a esibirsi regolarmente come collaboratore dello show – e dietro le quinte avrà la possibilità di lanciare la propria carriera comica ottenendo di aprire gli spettacoli di Hinchcliffe o di tutti i professionisti famosi che vengono ospitati nel podcast e vedono qualcosa di interessante. Certo, dopo il minuto senza interruzioni per l’aspirante comico scatta un’intervista improvvisata che quasi sempre si traduce in cinque minuti di roast reciproco tra lui o lei, il presentatore e gli ospiti. Ma essendo fuori copione, dà più la sensazione di stare assistendo a un gruppo di amici che si prende sonoramente per il culo. Il lato veramente incredibile e innovativo di Kill Tony, tuttavia, è la vetrina che viene offerta a ogni singolo matto con velleità da stand-up comedian che si aggira da quelle parti e ha la fortuna di essere estratto. Il risultato è un incredibile amalgama di cringe e genialità. A volte salgono sul palco comici che fanno rabbrividire – e che verranno messi alla berlina non appena avranno terminato. Ma è capitato più di una volta che Hinchcliffe scoprisse delle gemme grezze dal potenziale infinito e le prendesse sotto la sua ala.
Tre nomi su tutti. William Montgomery rischia – sul serio eh – di essere la cosa più vicina a Andy Kaufman che si sia palesata da 40 anni a questa parte. Casey Rocket sembra la reincarnazione di Robin Williams – senza le imitazioni – adeguata alle droghe che i venti-trentenni d’oggi preferiscono. L’appassionato di rocce Kam Patterson assomiglia sinistramente, nella qualità di carisma che trasuda come comico di stand-up, a un giovane Eddie Murphy. Tutta gente che non sarebbe esistita (professionalmente) senza Kill Tony, e che tuttora si esibisce su quel palco perché non riesce a rinunciare a quell’energia collettiva dove tutto è battuta; dove non c’è niente che possa offendere, perché siamo tutti d’accordo che la “cattiveria” che viene espressa in Kill Tony è diversa da quella senza virgolette che si usa per decidere di non limitare la possibilità di comprare armi semi-automatiche nei grandi magazzini. Gli Stati Uniti sono un posto stranissimo, per davvero. Pieno di gente che guarda il football americano.
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