Immaginate gli ultimi quarant’anni nell’Occidente benestante come un lungo videogioco di ruolo. Immaginate di dover scegliere il personaggio con cui giocare e di aver voglia di provare quasi la difficoltà massima, diciamo nove su dieci. Avete selezionato il capitolo intitolato “la fanciullezza di Alan Carr” raccontato nella sitcom Changing Ends, distribuita nel Regno Unito da ITV. Se non lo conoscete, Alan Carr è un celebre comico, presentatore, scrittore e speaker radiofonico inglese che è più gay di George Michael e Tom Cruise messi insieme, solo che lui nell’armadio non c’è mai stato ed è sempre stato solo e completamente se stesso. Una volta che avete scelto Carr siete nel 1986, avete dieci anni e siete un pre-adolescente – sul punto di farsi prendere a cartellate in faccia dalla pubertà “con una vista da talpa e la voce di una vecchina” – che non ha nessuna intenzione di vergognarsi a dimostrare il proprio entusiasmo per l’osservazione ornitologica, per Prince e per i balli country nonostante stia crescendo a Northampton, enorme paesino inglese a cui non hanno mai conferito il titolo di città. Nessuno ne ha avuto il coraggio.
Ecco, il fatto è proprio quello. Essere la persona giusta, ma nel posto sbagliato. Da un giorno all’altro, infatti, la genetica e tutto l’ineffabile resto che plasma il nostro fango infantile in una persona più o meno compiuta hanno deciso che Alan era un’anziana ed arzilla signora beneducata – che però non le manda a dire eh – intrappolata nel corpo di un decenne che presta agli amici la VHS del quinto episodio della terza stagione di La signora in giallo – ovvero Tocco da maestro, lisergico adattamento italiano del titolo originale Corned Beef and Carnage, Manzo salato in scatola e carneficina: come non amare La signora in giallo, dico io. Fatto sta che, in un attimo, Carr diventa il reietto di un villaggio troppo cresciuto in cui vigono ignoranza e omofobia. “Per ogni pelo pubico che spuntava, perdevo un amico. Ero troppo queer e camp”.
Diventa tutto ancora più incantevole e ironico quando scopriamo che il papà di Alan, Graham, è l’allenatore del Northampton Town F.C., squadra professionistica di calcio che milita nel corrispettivo inglese della serie D ed è l’orgoglio dei 240mila bifolchi che abitano in paese e che un paio di persone omosessuali le hanno intraviste forse in una sitcom ma solo perché stavano già seguendo la serie e dunque sono stati costretti.
Graham è un manager vecchia scuola, cresciuto nei bei vecchi tempi andati quando insultare le mamme dei giocatori era considerato produttivo e finanche pedagogico, tipo iniziare a fumare a 12 anni. Mentre il babbo è uno dei campioni di quella mascolinità di provincia – piuttosto ipocrita, viste l’abbondanza di pacche sul sedere nei campi da calcio – che verso i 60 anni si trasforma in ulcera, Alan vive con serena onestà e trasparenza un’identità fluida che la società arriverà più o meno a comprendere e accettare solo 4 decadi più tardi.
Nonostante le differenze abissali, casa Carr sprizza di amore e comprensione. Tanto che, quando Alan si precipita a casa chiedendo a gran voce di essere istruito all’arte del calcio per riconquistare il suo ex migliore amico e dirimpettaio Charlie – i cui odiosi genitori gli impediscono di vedere quel ragazzino anormale che abita di fronte a loro – babbo Graham è incredulo ma comunque supportivo. Quella del pallone si rivela un’idea particolarmente infruttuosa: lo sport respinge Alan, felicemente ricambiato. L’unica vera certezza rimane mamma Christine, signora terra terra che non dimentica mai di ricordare al primogenito che è perfetto così com’è e che non deve permettere a nessuno di dire il contrario.
Changing Ends è adorabile, pungente e ironica esattamente come il suo creatore e protagonista Alan Carr. E Alan Carr è talmente adorabile, pungente e ironico da uscire indenne da uno dei peccati più subdoli della narrazione televisiva: auto-inserirsi nella sitcom che racconta la tua fanciullezza come narratore onnisciente in carne e ossa (non come voce fuori campo) senza sembrare invadente o patologicamente vanesio. Anzi. Il contrappunto che Carr adulto fornisce con il senno del poi, raddoppia l’ironia e funziona perfettamente da coro greco alle storie di bullismo raccontate nella serie, disinnescate con una raffinata dose di umorismo e una ragguardevole sicurezza nei propri mezzi e nella propria identità.
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