Come già negli Stati Uniti, approda anche in Italia la tendenza ad attribuire un’abitazione modernista (e relativo décor) a dei personaggi malvagi. Lo fa per esempio, anche se in maniera totalmente personale, Mario Bava con 5 bambole per la luna d’agosto, libera trasposizione, assai odiata dall’autore, dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. La villa che ospiterà gli insopportabili protagonisti – moralmente indistinguibili l’uno dall’altro, tutti anonimi rappresentanti di un capitalismo becero e ottuso – si svela a pochi minuti dall’inizio. È una ripresa in notturna, l’architettura è mostrata leggermente dal basso, collocata su uno sperone di roccia.
Sembra composta da due volumi simmetrici sovrapposti, la cui geometria squadrata è ‘ammorbidita’ da due scalinate che curvano (si presume) verso altrettanti terrazzi. Uno stacco conduce a quello che è presentato come il giardino di palme della dimora, mentre il successivo porta all’interno della stessa, dove la prima cosa ad apparire, in primissimo piano, sfocata e poi messa a fuoco, è un giradischi: uno dei tantissimi arnesi presenti all’interno di una residenza che sembra patire l’horror vacui.
A proposito della proliferazione di prodotti nel thriller baviano, Alessandro Aniballi su Quinlan scrive come “Il discorso sull’oggetto-feticcio diventa gioco stilistico in cui, come in un saggio sulla pop art [...] tutto contribuisce a descrivere un mondo dove l’artefatto tende a essere allo stesso tempo opera d’arte a sé stante, sorta di ready-made, e si mostra per quello che è: pura merce, pura superficie da utilizzare”.
In questa prima sequenza indoor, tutti i personaggi sono radunati su una sorta di palco sospeso rispetto al complesso dell’area soggiorno, attorniati da un arredamento che restituisce un’indeterminata impressione di lusso (il mobile bar compreso in una sorta di cornice d’acciaio al cui interno è contenuto anche un quadro simil Kandinskij, un enorme lampadario cilindrico incastonato al controsoffitto) e da soluzioni progettuali enfatiche, come l’enorme scala a chiocciola che il critico Tim Lucas – lo riporta Giuseppe Fiorenza nel bell’articolo che ha dedicato al film su Lo specchio scuro – interpreta come una rappresentazione grafica del simbolo del dollaro.
Se da una parte la presenza di questi elementi genericamente modernisti sembrerebbe confermare la ‘moda’ di cui si parlava all’inizio, dall’altra Bava questa moda pare interpretarla secondo le proprie coordinate etiche e caratteriali. Intanto la casa, che il regista inquadra su una scogliera dell’oasi di Tor Caldara ad Anzio, non esiste: è stata creata con il ricorso a una ‘matta’, un dipinto su vetro sovrapposto allo sfondo. In secondo luogo, proseguendo nella visione, è facile notare come le scelte di arredamento siano tutte irrimediabilmente kitsch o cheap.
La cucina in legno, per esempio, è assolutamente anonima, quella che un borghese medio (mi si passi la generalizzazione e il termine ormai obsoleto) sistemerebbe in una seconda casa al mare o in montagna; una delle camere da letto presenta pareti blu scuro che cozzano cromaticamente con le terribili porte gialle dalle cornici nere, e con un goffo comò tondeggiante dipinto in lacca rossa; in un’altra alcova c’è addirittura, del tutto fuori contesto, un letto rotondo girevole che sembra quasi un rimando ironico e ‘interno’ al Diabolik diretto un paio d’anni prima dall’artista ligure.
Così, se è vero come sostiene Pezzotta, che con 5 bambole “Bava può finalmente dimostrare che i mobili e i colori possono essere più interessanti di molti personaggi (e attori)” è anche vero che questi mobili e colori sono ‘brutti’, assortiti malamente, nel migliore dei casi dimenticabili. Basti dire che non è presente nessun arredo ‘firmato’, pur essendo stato girato negli anni di maggior splendore del design italiano, quelli dei vari Magistretti, Mari, Colombo, Munari; quelli della collaborazione di Sottsass con Olivetti, della Sacco di Gatti Paolini e Teodoro, di Gaetano Pesce e del radical design.
Indicativo, per fare un solo esempio, come il piccolo televisore portatile presente in una scena non sia uno dei Brionvega creati da Sapper e Zanuso, all’epoca massicciamente presenti nelle case degli italiani, non esclusivamente in quelle dei ricchi. Eppure sono progetti che qualsiasi ufficio stampa avrebbe concesso volentieri alla produzione di un film, proprio come li concede ancora oggi a una rivista (a una delle poche sopravvissute) per allestire un servizio di sala posa. La suggestione, dunque, è che Bava decida deliberatamente di non attingere all’offerta – all’epoca vasta e gloriosa – dell’italian design, per scegliere invece un’altra tipologia di arredi: anonimi, intercambiabili, dozzinali. Non per pigrizia, ma semplicemente perché l’umanità che mette in scena non era degna di vivere circondata dalle creazioni di Magistretti, Mari, Colombo, Munari... ma solo di merce agevolmente sostituibile e sovrapponibile con altra merce, proprio come quei piccoli indiani che cadranno uno dopo l’altro all’interno di una casa che non c’era.
Il film
5 bambole per la luna d'agosto
Thriller - Italia 1970 - durata 85’
Regia: Mario Bava
Con Edwige Fenech, Howard Ross, Justine Gall
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