Forse internet non è stata propriamente la creazione migliore del secolo scorso – non definirei “migliore” uno strumento che permette ad anonimi adulti frustrati di sfogarsi insultando il video di una recita di Natale delle elementari – ma quasi certamente è stata quella che più ha sconvolto e contribuito a modificare la società in cui viviamo. Ora, siccome ci avviciniamo di gran carriera al momento in cui le intelligenze artificiali prenderanno coscienza – grazie alle iperconnessioni dell’interwebz – si ribelleranno e renderanno schiava l’umanità intera, è giunto il momento di scommettere. Quale dei seguenti gruppi inventati per semplificarci i pregiudizi avrà il piacere di produrre il leader dei nuovi luddisti: generazione x, millennials, o generazione z? È proprio vero che ormai siamo alla frutta.
Ma sono i social a dirci di fare così. E il resto di internet segue i social. E una discreta parte della vita vera segue internet. Per cui dico che il Masaniello a capo delle rivolte contro le nuove tecnologie verrà dalla generazione dei millennials, trenta-quarantenni che non hanno fatto tempo a nascere digitali come gli z o a imparare da adulti come gli x, ma sono stati svezzati in un mondo analogico, poi sono passati al digitale in piena adolescenza e adesso sono i primi a perdere il lavoro rimpiazzati da intelligenze artificiali. Abbiamo anche già un ottimo candidato al ruolo di aizzatore. Uno con un nome perfetto, Nathan Macintosh, e con la piena consapevolezza di essere la versione giovanile di un veterano della Seconda guerra mondiale che urla divertenti improperi agli hippie per poi tornare a casa a spipettare l’erba del diavolo.
Macintosh si chiama come un computer, odia la tecnologia che è costretto a usare per campare, è un comico canadese che lavora in giro per i locali fumosi della costa est degli Stati Uniti e si è da poco auto-prodotto lo speciale pubblicato su YouTube che vedete qui sopra, Down With Tech, esilarante manifesto delle difficoltà tecnologiche di una generazione cresciuta a metà strada. Una fetta di popolazione che quando osserva le nuove tecnologie digitali attraverso il filtro di un’educazione analogica, si ritrova per le mani davvero un gran numero di idiosincrasie decisamente ironiche.
Trent’anni fa, per dirne una, crescevano i bambini dicendo loro di non stare troppo vicino al televisore o al microonde accesi. Erano puri attacchi terroristici da parte di genitori che avevano vissuto male il dramma di Chernobyl e il disastro della diossina di Seveso, e avevano sviluppato una sorta di fobia per i raggi della morte invisibili. Se stai troppo attaccato ti si frigge il cervello, dicevano, ti si incrociano gli occhi a vita, ti vengono i tumori e non parliamo nemmeno di quel che ti succede al pistolino. Poi si sono inventati lo smartphone, che è un televisore microonde, e ci hanno detto di tenerlo il più vicino possibile alla faccia.
Il discorso di Macintosh, in realtà, parte da una questione molto nordamericana, la divisione adolescenziale tra nerd (gli sfigati secchioni), dork (gli sfigati inetti) e jock (i popolari e atletici). Il comico canadese si mette nella categoria dei dork e ricorda che nel mondo in cui è cresciuto – gli anni 80 e 90 dei film di John Hughes e di serie come Beverly Hills 90210 – comandavano i jock, quelli che alla fine di una carriera sportiva deludente finivano cocainomani a Wall Street o a fare i dirigenti cocainomani di azienda o gli agenti immobiliari cocainomani e segretamente travestiti. Al giorno d’oggi, invece, comandano i nerd. Comanda Mark Zuckerberg. Ed è successo che le persone che ai tempi dei jock non erano in grado di socializzare, sono quelle che lungo la strada si sono inventate i social network. “Com’è possibile che quelli che invitavi alle feste e portavano una mela o un sudoku perché non avevano idea di come comportarsi in mezzo agli altri adesso sono le persone più influenti del mondo e sono loro a decidere come si socializza?”
Zuckerberg, oltretutto, ha reso molto più facile essere cospirazionisti. Scrivi sette parole a caso sotto una fotografia, la metti online e lo trovi per forza qualcuno che ci crede perché le ha lette sullo schermo della scatola magica. Nel 1800 per fare la stessa cosa – e far girare la voce che il marchese si ingroppava gli asini – ti saresti dovuto mettere a cavallo e viaggiare per giorni su e giù dalle colline, guadare fiumi, accendere falò. Un casino inenarrabile. Che dopo tre giorni ti viene in mente che non ci credi nemmeno tu a quella roba, ma chi te lo fa fare.
Macintosh è una fucina di osservazioni brillanti, che costruisce in battute grazie a una tecnica impeccabile e con l’aiuto di una tonalità comica che ricorda quella di Bill Burr, se Bill Burr non fosse cresciuto nella generazione i cui genitori credevano ancora fortemente nel potere pedagogico degli schiaffi a due a due. Il canadese, però, non ha l’incazzatura di uno che prenderebbe in mano il forcone per andare a cercare il re di internet e decapitarlo. Aizza in maniera esilarante contro la tecnologia che sta sostituendo, in maniera a volte insensata e febbrile, il contributo umano. Ma è più l’arrabbiatura di uno che deve fare lo SPID e non è ancora abbastanza anziano da avere dei figli grandi o dei nipoti a cui chiedere.
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