Bisogna riconoscere a Edoardo Leo attore la qualità non così comune di essere plausibile tanto nella commedia quanto nel dramma, e pure in quella zona grigia che sta in mezzo. Un po’ come il Marco Giallini di Rocco Schiavone. Non a caso, perché il Luca Travaglia di Il clandestino è su quella lunghezza d’onda, ex ispettore capo dell’antiterrorismo che un evento traumatico - un attentato che non ha saputo prevedere e che coinvolgeva la compagna, infiltrata dagli estremisti al suo fianco e morta nell’esplosione - ha indotto a trasferirsi da Roma a Milano per scomparire.
Quindi, nella serie realizzata per RaiFiction da IIF (i Lucisano, da sempre i “suoi” produttori di fiducia, capaci di portare qualcosa del grande schermo in tv) Leo è “clandestino” in più di un’accezione: lo è in quanto romano a Milano, lungo un fil rouge sottotraccia che ironizza su luoghi comuni e stereotipi, ma anche perché “invisibile” ai radar di istituzioni ed ex colleghi, e infine pure quale titolare di “Il clandestino”, un’agenzia investigativa poco convenzionale messa in piedi con un buffo ed esuberante cingalese, Palitha (Shapi, da Jedi per Lucas a spalla comica in tante commedie nostrane), che lo ospita nel retro della sua officina, mentre Travaglia fa pure la guardia del corpo di una riccona milanese perseguitata (pare) da uno stalker e potenziale suo nuovo amore (!).
Insomma, nel gruppetto sempre più nutrito delle serie Rai che guardano a modelli e declinazioni internazionali, Il clandestino rischia non poco come tentativo di noir metropolitano dal sorriso di sbieco e al passo con i tempi, con tanto di protagonista para-chandleriano stazzonato (e, grazie appunto a Leo, credibile, pure nelle rade scene d’azione). Ci riesce, però, abbastanza bene, prendendosi i suoi tempi (12 episodi da 50’ in sei serate) e combinando l’elemento verticale, cioè il caso di puntata, con il racconto orizzontale, nel presente e soprattutto nel passato, attraverso i flashback che rivelano la vita privata e professionale del protagonista prima dell’attentato e l’amicizia complicata con il vicequestore Maganza (Sciarappa, indovinato), fino a un finale di stagione, si parva licet, quasi alla Mission: Impossible di casa nostra, con Travaglia di nuovo nell’antiterrorismo a chiudere (forse) alcuni conti in sospeso, soprattutto con se stesso.
Però, appunto, Il clandestino funziona quasi meglio nelle piccole indagini di Luca, tutte gemmate dalle cronache e dalle contraddizioni della Milano di oggi (le morti bianche e il caporalato nei cantieri, l’infiltrazione mafiosa al nord, la malavita cinese, la microcriminalità nelle periferie), fin dai titoli (Milano calibro 9x19, Barrio Corvetto), tra scorci urbani appropriati (forse giusto un po’ troppa Darsena...) e omaggi affettuosi (Jannacci e le sue canzoni in Il cielo sopra Lambrate). Piace pensare sia la prova di un approccio attento e meditato da parte degli sceneggiatori Sannio, Ripamonti & Pellegrini e del regista Rolando Ravello, tutti con una bella attitudine umoristica nel dramma che giova alla serie. Sarebbe bello proseguire, ascolti (non altissimi, purtroppo) permettendo.
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