Il bianco e nero di L’odio, deciso al montaggio (il film venne girato a colori dal DOP Pierre Aïm), non somiglia per niente al bianco e nero, per dire, del Ripley di Netflix: ne ha fatta di strada l’espediente del bianco e nero “contemporaneo” se oggi la piattaforma non ha considerato respingente per il suo target di pubblico un’intera serie di episodi in fotografia bicromatica (merito, tra gli altri, del Nolan di Oppenheimer, o prima ancora del successo d’autore di Roma?). Al contrario, nel 1995 del film di Mathieu Kassovitz - che torna in sala dal 13/5, e sarà presto su The Film Club -, girare in bianco e nero era soprattutto uno stilema di indipendenza, lo faceva tutto il cinema alternativo Usa tipo Jarmusch e in qualche maniera era un segnale di discendenza “politica” dai padri del cinema “fatto-per-strada”, in Italia come in Francia.

Mathieu Kassovitz
L'odio (1995) Mathieu Kassovitz

Kassovitz, figlio d’arte qui al secondo film, compie con L’odio una grande operazione di remix, campionamento e scratch equivalente a quella di DJ Cut Killer che dalla finestra della banlieue in una celebre sequenza mixa Édith Piaf e l’inno antagonista Sound of da Police: nel film convivono così il bianco e nero e Bob Marley, Taxi Driver con la cronaca parigina dell’epoca (lo script è ispirato all’omicidio di un giovane da parte della polizia), lo Spike Lee di quartiere con la politica dei movimenti sociali giovanili di quegli anni, fondando di fatto il canone del cinema da banlieue frequentato ancora oggi dagli eredi morali Ladj Ly o Romain Gavras (Kassovitz e Cassel porteranno le loro carriere in tutt’altri lidi, invece). E magari con risultati se possibile più incendiari del capostipite, come farà Jean-François Richet nel di poco successivo Un quartiere da schianto (1997), che tra le altre cose ha anche una playlist ancora più molotov di hip hop “meticcio”.

Vincent Cassel, Said Taghmaoui, Hubert Koundé
L'odio (1995) Vincent Cassel, Said Taghmaoui, Hubert Koundé

Le polemiche in patria non tardarono, mentre Kassovitz collezionava César e premi a Cannes nel frattempo il corpo di polizia si dissociava con forza dal film (voltando le spalle allo schermo della sala in cui era stata organizzata dal primo ministro dell’epoca una proiezione-dibattito apposita). Un’intera generazione si porterà dietro il celebre monologo sull’uomo che precipita da un palazzo di 50 piani trascritto sulle Smemoranda, e il poster di L’odio appeso in camera, pronti all’avvento del verbo di Naomi Klein e Noam Chomsky, alla battaglia di Seattle e al G8 di Genova: ma cosa resta di questo cult per noi, al netto delle citazioni più o meno esplicite nei video e nei reel della scena trap odierna, tra Massimo Pericolo che brucia la tessera elettorale in 7 miliardi e i casermoni di Trieste di Tuta gold? L’anno scorso, alla Settimana della Critica a Venezia, Vermin, il notevole esordio di Sébastien Vanicek, prendeva questi elementi e li infestava di ragni giganti pronti a mangiarsi la banlieue. La violenza quotidiana delle strade di Kassovitz oggi è diventata un horror.

Autore

Sergio Sozzo

Sergio Sozzo è il direttore editoriale di sentieriselvaggi.it. Ha pubblicato saggi su Stallone, Shyamalan, Lav Diaz, Schoedsack, Alice Rohrwacher, Corso Salani, Miyazaki. Ha curato e condotto trasmissioni sul cinema per radio e web tv. Tiene corsi sulla critica, sul giornalismo cinematografico, sulle culture digitali. È stato aiuto regista di Abel Ferrara per il documentario Piazza Vittorio.

Il film

locandina L'odio

L'odio

Drammatico - Francia 1995 - durata 95’

Titolo originale: La Haine

Regia: Mathieu Kassovitz

Con Vincent Cassel, Hubert Koundé, Said Taghmaoui, Abdel Ahmed Ghili

Al cinema: Uscita in Italia il 13/05/2024

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