Su MUBI I melodrammi di Odessa, dittico retrospettiva dedicato alla regista ucraina Kira Muratova. Da una parte Lunghi addii (1971): non sarà impossibile, ma è molto difficile trovare un film sul rapporto madre-figlio più bello e commovente di questo. Lei svampita, logorroica, scentrata. Lui, per reazione, ha fretta di diventare adulto, ma lontano da lei si rivela non poi così dissimile. Avvicinandosi il momento in cui lui raggiungerà il padre, via per lavoro, la derisione verso un mondo più simile a lei che a lui sfumerà nell’irresistibile malinconia di dinamiche umane universali che solo la grande letteratura aveva indagato così.
Lunghi addii è però meno debitore della letteratura (e del cinema) del disgelo russo di Brevi incontri (1967), esordio di Muratova, dall’intricata struttura a flashback che come l’opera seconda venne bandito dalle autorità sovietiche fino alla Perestroika. La scoperta, sotto la scorza del realismo socialista, delle psicologie, dei tempi puntiformi del quotidiano, delle storie minimali, cominciava ora a cristallizzarsi in un formalismo praticamente musicale. I discorsi strampalati e a ruota libera degli innamorati si allargano fino a diventare la forma stessa di un mondo così sovraccarico da sfidare il nostro principio di autoconservazione, e provocare una vertigine da cui ci si prova a difendere monologando ossessivamente.
Milioni di eccentricità da orchestrare, con finissimo orecchio per i loro ritmi, le loro attraenti disarmonie, le loro ripetizioni, passando da una all’altra con continui cambi di angolazione, spericolati ma mai spigolosi, che scandiscono un tempo fluttuante, gassoso, senza alcun centro. Scentrato, sì, come la madre di Lunghi addii, e come gli amori e i lavori non meno precari di quelli di oggi in Brevi incontri, ingegnosa reinvenzione del triangolo sentimentale con un geologo girovago e due donne che incrociano e scambiano di continuo la gravità dell’una e la futilità dell’altra. Amante dei contrappunti e dei contrappesi, autrice di partiture registiche cesellate fino allo stordimento estetico, Muratova si ritaglia il ruolo di una delle due, una tecnica mandata da Mosca nelle lontane province in costruzione per coordinare la distribuzione delle risorse idriche.
Il suo fare le cose come si deve, con cura più che ossessiva, collide senza drammi coi burocrati, eccentricamente umani pure loro. Finiscono i titoli, e la troviamo davanti alla pagina bianca. Un discorso da scrivere, ma sempre nel suo cinema l’azione si interrompe, riprende, si accartoccia nevroticamente, si ricompone in ghirigoro godibilmente fine a se stesso: si alza, fa per lavare i piatti, ci ripensa, straparla, telefona. Neanche un’ora e ci regala una dichiarazione di poetica: «Nei film le donne e gli uomini sono belli, i loro sentimenti e le loro azioni sono sensate e coerenti... Persino nella sofferenza tutto è logico e preciso, ci sono la causa e l’effetto, l’inizio e la fine... Qui invece è tutto così vago».
I film
Lunghi addii
Drammatico - Urss 1971 - durata 91’
Titolo originale: Dolgie provody
Regia: Kira Muratova
Con Zinaida Sharko, Oleg Vladimirsky, Tatyana Mychko, Yuri Kayurov
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Brevi incontri
Drammatico - URSS 1967 - durata 96’
Titolo originale: Korotkije vstrechi
Regia: Kira Muratova
Con Nina Ruslanova, Vladimir Vysotskij, Kira Muratova, Yelena Bazilskaja
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