In un articolo apparso sul New Yorker e intitolato A History of the Modernist Villain’s Lair, Alex Ross, servendosi di un nutrito numero di esempi e citando diversi volumi dedicati al tema, sancisce come attribuire a un bad guy cinematografico una casa modernista sia, ormai da decenni, diventato un cliché quasi fastidioso. Al tema è addirittura dedicato un documentario, Los Angeles Plays Itself, in cui il regista Thom Andersen accusa Hollywood di infangare l’eredità di geni dell’architettura quali Schindler e Neutra impiegando con sospetta sistematicità le loro opere come covi del vizio.

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Futurismo (1924) locandina

Se nel cinema europeo la tendenza ad accostare modernismo e ambiguità morale era in voga già dagli anni Venti – si pensi a L’Inhumaine di L’Herbier o a Spione di Lang – negli Stati Uniti questa si afferma con The Black Cat di Ulmer, il maggior incasso Universal del 1934 e il primo degli otto titoli in cui Karloff e Lugosi lavoreranno insieme. Qui, il geniale art director Charles D. Hall fa piazza pulita di castelli spettrali, torri merlate, gargoyle, spelonche e anfratti angusti e, complice il passato da scenografo del suo regista, colloca il cattivo Hjalmar Poelzig (il nome è un evidente omaggio all’architetto e scenografo Hans Poelzig, con cui Ulmer aveva lavorato sul set di Der Golem) in una residenza progettata per suscitare stupore.

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The Black Cat

Nel film la magione viene mostrata per la prima volta in campo lungo, abbarbicata su un promontorio al quale si accede attraverso una tortuosa strada che costeggia un cimitero (l’abitazione stessa, si apprenderà, sorge su migliaia di corpi massacrati nel corso di una battaglia della Grande Guerra). È un parallelepipedo rigoroso e scultoreo attraversato da due strisce di luci.

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The Black Cat

Una dissolvenza incrociata conduce gli spettatori al suo interno dove, al buio, riluce una scenografica scala curva in acciaio. Un’altra dissolvenza porta al totale dell’ingresso, in cui, alle spalle della scala, fa bella mostra di sé una parete di blocchi di vetro retroilluminati (in realtà, come si può notare in alcuni piani ravvicinati, pare si trattasse di una griglia di legno ricoperta da una tela di mussola: anche il budget reclamava la sua parte), mentre la macchina da presa esplora lo spazio avanzando verso la porta d’ingresso, questa ultima connotata da una vistosissima maniglia e, a sorpresa, dal fatto di scorrere all’interno di un binario.

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The Black Cat

La ripresa successiva è occupata interamente dall’immagine di un altoparlante rotondo illuminato da un tubo di neon e percorso da elementi metallici. La presenza dell’acciaio è massiccia: per esempio sulle pareti, a tagliare longitudinalmente il rivestimento in legno, o come decorazione orizzontale sulle superfici delle porte o, ancora, nella struttura delle sedute in tubolare piazzate nel salotto davanti a una scacchiera, e che rimandano alla passione del designer Raymond Loewy per la linea arcuata o alle creazioni di Marcel Breuer o di Kem Weber.

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The Black Cat

Se nella selezione degli arredi non mancano elementi di produzione industriale – una lampada, in particolare, ritorna identica in differenti stanze, definita da cerchi concentrici sovrapposti, da un corpo cilindrico, un paralume circolare e da una sorta di puntale in cima – alcuni oggetti sono semplicemente inventati ‘annusando’ l’aria progettuale del tempo: come una radio futuribile azionata da una leva, un’abat-jour il cui spegnimento è controllato da una sorta di joypad, un orologio rettangolare su cui i numeri scorrono sostituendosi l’uno all’altro come se si trattasse di un modello già digitale.

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The Black Cat
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The Black Cat
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The Black Cat

A suscitare meraviglia, in questo gioiello assoluto della serie B, è rilevare quanto i personaggi commentino la peculiarità della casa di Poelzig, il quale è definito alternativamente ‘ingegnere’ e ‘architetto’, in una permeabilità di professioni che in Italia creerebbe un grave malcontento in entrambe le categorie. In un dialogo, Lugosi definisce la creazione del suo nemico “un capolavoro di costruzione eretto sulle rovine di un capolavoro di distruzione, un capolavoro di morte”, mentre lo sposino David Manners, parlando del suo ospite, esclama: “beh suppongo che debbano esistere pure gli architetti. Se volessi costruire un manicomio carino, accogliente e senza pretese, lui sarebbe l’uomo giusto”.

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The Black Cat

Alla fine, come da consuetudine degli horror del periodo, la dimora del malvagio esploderà, inevitabile tributo e risarcimento per tutti quei cadaveri che sotto le sue fondamenta reclamavano giustizia; ma quella distruzione non ratificherà affatto la fine dell’equazione modernismo = sede del Male, del fuori norma, dell’immoralità ma, anzi, darà la stura a una sequela di capolavori senza i quali questa rubrica sarebbe già prossima a esaurirsi per mancanza di argomenti.

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The Black Cat

Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina The Black Cat

The Black Cat

Horror - USA 1934 - durata 65’

Titolo originale: The Black Cat

Regia: Edgar G. Ulmer

Con Boris Karloff, Bela Lugosi, David Manners, Julie Bishop, Egon Brecher, Harry Cording