Titolo obbligato: un caro saluto ai Meganoidi e alla generazione di MTV, ovvero:
Di primo acchito potrebbe sembrare che lo ska-punk genovese non c’entri molto con la storia vera di una delle più grandi ingiustizie recenti avvenute nel paese che comunque aveva già in curriculum colonialismo, capitalismo e Margaret Thatcher. Va ricordato, però, che contro il logorio della vita moderna l’unica soluzione oltre alle botti di amaro è quella di tenere in vita il fanciullo che è in noi. E la serie inedita di questa settimana – che si intitola Mr Bates vs The Post Office ed è stata prodotta e trasmessa da ITV – è per tutti quelli che non hanno più le energie psicofisiche per fomentarsi con lo ska-punk, ma hanno imparato a ritrovare la stessa adrenalina in attività tipo: attivare con successo lo SPID.
Ho altri elementi per caricarvi a mille su questa miniserie in quattro puntate, creata e scritta dalla veterana Gwyneth Hughes. Prima di tutto e soprattutto, come dice anche il titolo: il cattivo di questa storia sono le Poste inglesi, e c’è qualcosa di incredibilmente catartico nell’assistere alla lenta caduta del castello di carte che protegge il regno della burocrazia cieca e stolida, irrimediabile come se fosse un disastro naturale e non qualcosa di creato da noi per aiutarci – e non per infierire. Tutti gli anatemi che avete appuntato nel corso degli anni, ognuno dei quali ha allargato di un altro micron il diametro della vostra ulcera incipiente saranno emendati. Mr Bates vs The Post Office li può accogliere e abbracciare, rassicurandovi: ogni tanto le ingiustizie vengono raddrizzate, e chi sbaglia paga pur se detiene il potere. Anche se servono tempo, coraggio, testardaggine, risorse, il sostegno dell’opinione pubblica, un’adeguata copertura stampa, le maree alte, un quarzo sommerso nel sale grosso e congiunzioni astrali favorevoli. Una passeggiata di salute.
L’idea dell’episodio pilota è quella di ricalcare l’abbrivio delle grandi cavalcate del cinema di impegno civile statunitense, asciugando lo stile ridondante e di epica da camera per scegliere un approccio leggermente più sedato e vicino a toni realistici. Stiamo pur sempre parlando di uno scandalo portato alla luce non dal Times ma da Computer Weekly; quindi faccende di software, rendiconti, cause civili e penali, ispezioni, ammanchi, tabulati, giacche e cravatte, carte e penne, e tutto l’armamentario necessario per un dramma civile che racconta la disperazione di piccole formiche alle prese con un golem enorme. Persone singole e isolate costrette a provare la propria non colpevolezza di fronte allo stato, che tutto può e tutto decide.
Per noi spettatori tutto inizia a Llandudno, nel Galles del nord, il 4 novembre 2003. La Post Office Limited, azienda di proprietà dello stato quotata in borsa, ha notato un ammanco nei conti del direttore dell’ufficio locale, il signor Alan Bates, che alla fine di ogni giornata vanno inseriti nel software Horizon, il quale calcolerà eventuali discrepanze con gli incassi effettivi. Il signor Alan Bates è trasparentemente sicuro della bontà del lavoro svolto e in possesso delle prove che la dimostrano. I piani alti, d’altro canto, non lo chiamano ladro. Non si azzarderebbero. Però insistono nel dire che dalla sua filiale sia venuta in qualche modo a mancare un’ingente somma di danaro – cosa non vera – che lui adesso dovrà restituire – cosa che non avverrà.
L’azienda, dunque, decide che Alan deve chiudere l’ufficio che ha aperto e in cui ha investito tutti i propri risparmi, e deve anche prendersi l’onta di essere quello che ha ciulato i soldi per i francobolli. Non solo. Se non restituisce ciò che manca, la multimiliardaria Post Office Limited gli farà causa e lo porterà in tribunale dove fronteggerà due uniche opzioni: dichiararsi non colpevole e andare a processo penale per furto, o dichiararsi responsabile in sede civile e pagare la somma dovuta più le spese processuali che in Inghilterra, dovendo finanziare tutto l’indotto delle parrucche dei giudici, sono assai ingenti. Bates, interpretato con la solita sconvolgente umanità da Toby Jones, è un tizio bonario e felice, anche grazie al rapporto con una moglie, Suzanne, che lo capisce, si fida di lui e lo sostiene; ma soprattutto è un tipo onesto, integro, intelligente, lucido e profondamente indignato – anche senza il bisogno di fare scenate – dall’assoluta ingiustizia in cui è stato coinvolto. Alan, negli anni, sarà anche sempre l’unico che si rifiuterà di darla vinta a Post Office Limited e a non sottoscrivere una qualsiasi dichiarazione di colpevolezza pur di togliersi i mastini dalle calcagna.
Il quid vero della serie è che l’assoluta ingiustizia di cui sopra ha, in realtà, travolto più di 900 direttori di posta sparsi per tutta l’isola. E che la parola d’ordine scelta da Post Office Limited per gli operatori chiamati a supportare tutti quei direttori onesti che cercavano aiuto per dimostrare l’insensatezza delle discrepanze era: “Che cosa strana. Non sta succedendo a nessun altro”. Post Office Limited sapeva dei problemi del suo software e comunque, per anni, ha negato di fronte a ogni giudice e a ogni privato cittadino che tentava di difendere il proprio onore, la propria fedina penale, la propria vita, il proprio lavoro e probabilmente anche i propri dischi di Little Tony. Non sentite anche voi l’impellente desiderio di andare fuori da un ufficio postale a fomentare gli anziani nutrendoli di odio per le Poste? Mr Bates vs The Post Office ci insegna che è un istinto ben motivato.
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