Cosa c’è dietro il ricamo dai punti perfetti, le buone maniere, gli abiti bianchi e vaporosi di Sofia Coppola? La sua cinepresa accarezza languida le superfici, mano sensuale che rende tattile l’immagine, ipnotizza e seduce per poi colpire come le sorelle Lisbon di Il giardino delle vergini suicide (1999, disponibile su MUBI), uscite dalle gabbie vittoriane con lacrime e sangue, appese a una corda, la testa nel forno, soffocate dal gas di scarico. Saranno vendicate, tra brandelli di carne non tanto metaforici, dai candidi angeli di L’inganno (2017), “vergini” della Virginia trasformate in feroci Erinni.
Nel passaggio tra infanzia e adolescenza e più su verso il confine pericoloso dell’età adulta, la figlia di Francis Ford Coppola ha sempre indagato lo sguardo delle “piccole donne” fin dall’inizio della carriera nel corto in 16 mm in b/n Lick the Star (1998, su MUBI), dove sotto l’apparenza scherzosa - “lecca la stella” - c’è l’orrore del titolo capovolto, kill the rats, “ammazza i ratti”, ovvero i compagni di scuola giudicati alieni della “regina del college”. Attenti alle ragazze.
E sono loro a portare in trionfo Sofia Coppola con una tripletta magica, 2003-2006-2010. Lost in Translation - L’amore tradotto, Oscar alla migliore sceneggiatura originale. Fuori dalla nebulosa gotica, l’azione si sposta a Tokyo, quartiere Shibuya, pioggia di luci su facciate semoventi. Un non-luogo per l’incontro di Bob, lo stralunato Bill Murray, e Charlotte, la post-adolescente Scarlett Johansson, sola nell’hotel di lusso come Marie Antoinette nella villa di Versailles. I francesi a Cannes non gradirono la versione pop e le sneaker All Star della principessa teenager nelle vesti da Oscar (a Milena Canonero) di Kirsten Dunst. Tutti gli altri sì, boom al box office.
In Somewhere, la solitudine si trasferisce nel mitico hotel Chateau Marmont sul Sunset Boulevard di Los Angeles e si divide tra il divo Johnny Marco, origini italoamericane, e la figlia undicenne Cleo, una delicata Elle Fanning sui pattini. Tempo sospeso, movimento ellittico, la Ferrari gira in cerchi concentrici, e poi il miracolo a San Francisco, città dei Coppola, cognome lucano sempre rinfacciato a Sofia, attrice di sette film diretti dal padre. Criticata ingiustamente anche alla Mostra di Venezia n. 67 perché il Leone d’oro lo riceve dal suo ex, Quentin Tarantino, spinto dal giurato Luca Guadagnino.
E dopo il quasi documentario Bling Ring (2013) sulle giovanissime ladruncole di Beverly Hills, arriva Priscilla (2023). Produttrice esecutiva e autrice del libro di memorie Elvis and Me, Priscilla Presley, l’allora quattordicenne lasciata sola nella casa-cattedrale di Graceland. Fuori campo, Elvis, l’artista e il mito, già degradato nel film di Baz Luhrmann. Negati i diritti delle canzoni, Elvis tace, e il film si disperde nella vana attesa di lui. Ma il tocco di Coppola si vede nel vagare tra rose e luci vellutate in un campo di erotismo che sa di colori, melodie, abiti e design, frutto delle lezioni multidisciplinari del CalArts, fondato da Walt Disney.
Il film
Lick the Star
Cortometraggio - USA 1998 - durata 14’
Titolo originale: Lick the Star
Regia: Sofia Coppola
Con Christina Turley, Audrey Kelly, Julia Vanderham, Lindsy Drummer, Robert Schwartzman, Rachael Vanni
in streaming: su MUBI
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