Il deserto di Atacama, la cordigliera delle Ande, la costa sull’oceano Pacifico sono i punti cardinali del Cile, «striscia di terra geograficamente folle». Sono questi a guidare, come una bussola interiore, l’opera del documentarista Patricio Guzmán. Lo si vede, per esempio, nella trilogia geostorica e antropologica Nostalgia della luce (2010), La memoria dell’acqua (2015) e La Cordigliera dei sogni (2019), nella quale il regista rilegge attraverso il territorio il passato traumatico del suo paese, stratificato sulla roccia dei monti o racchiuso in una goccia d’acqua cristallizzata dentro un blocco di quarzo.
Anche l’esordio nel lungo documentario, Il primo anno (1971), disponibile gratuitamente su Arte.tv, comincia collocando il Cile su una mappa, in una sorta di prologo che riassume la storia cilena (a cura di Chris Marker, che ha avuto un ruolo fondamentale - insieme al collettivo collettivo SLON, Société pour le lancement des oeuvres nouvelles - nella diffusione internazionale del film).
Dopo la premessa, il doc dichiara le coordinate temporali: è stato realizzato a partire dal 5 settembre 1970, poche ore dopo l’elezione di Salvador Allende, e segue, come recita il titolo, el primer año del nuovo presidente socialista, documentando in presa diretta le trasformazioni in atto.
Con la sua mdp, agile, curioso e attento, il regista si fa strada in mezzo al popolo: tra gli indigeni mapuche, confinati nelle riserve, le reducción, che sull’onda della nuova riforma agraria reclamano a gran voce le loro terre; tra i minatori e gli operai, fiduciosi che la nazionalizzazione delle risorse primarie come il carbone e il salnitro sia sinonimo di un inedito miglioramento delle condizioni di lavoro.
Raccoglie testimonianze tra la gente, si sofferma, con primi e primissimi piani, sui volti e sugli occhi di chi non ha mai avuto voce fino a questo cruciale momento di rivoluzione, di cambiamento, e costruisce un collage umano in fermento. Come un sismografo, Guzmán ascolta il pueblo e registra ogni scossa, ogni sommovimento, riprende gli effetti delle nuove politiche adottate, le conseguenze più che l’origine, l’operato più che l’artefice; infatti Allende rimane quasi una figura sullo sfondo, mai protagonista, parla pochissimo, molto meno rispetto, per esempio, a Fidel Castro, che compare alla fine del doc, durante la visita a Santiago nel 1971.
Allende appare, quasi fosse già un fantasma, un corpo assente, e a tale proposito è interessante confrontare questo primo lavoro con il doc Salvador Allende, realizzato da Guzmán nel 2004, nel quale ricostruisce la figura del presidente a partire da testimonianze e materiale d’archivio, cercando di capire cosa rimane, nel presente, di quel passato che in molti vogliono dimenticare, abbandonare all’oblio.
In chiusura di Il primo anno, il regista lascia entrare anche umori in contrasto con il generale ottimismo, schegge di iniziali ostilità interne da parte della destra conservatrice (facendosi beffe della ricca borghesia preoccupata per la svolta socialista: mentre alcune donne si lamentano dello scarso approvvigionamento di cibo nei supermercati, la camera scorre tra gli scaffali ricolmi di prodotti).
Il doc, infatti, si conclude bruscamente con la scritta «fine?», con una domanda che apre le porte a ciò che verrà dopo: il film successivo sarà La respuesta de octubre (1972), sulla crisi di un paese affacciato sull’orlo della guerra civile, una sorta di preambolo al capolavoro in tre atti La battaglia del Cile (1975-1979), interamente disponibile su arte.tv, immenso reportage che testimonia, ancora una volta in presa diretta, nel momento del suo farsi, le tensioni sociali, il seguente colpo di Stato dell’11 settembre 1973 e l’inizio della dittatura di Pinochet.
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