Il primo episodio di Libera, il lungometraggio d’esordio di Pappi Corsicato, si apre sull’immagine di una croce svettante su una chiesa mentre il panorama sullo sfondo è immerso nella nebbia. Una serie di dissolvenze mettono progressivamente a fuoco il contesto: appare un complesso di grattacieli, tra cui spiccano due torri gemelle in costruzione. Si tratta del Centro Direzionale di Napoli, all’epoca ancora interessato dai lavori che, avviati nel 1985, sarebbero terminati nel 1995 (anche se la stazione della linea 1 della metro, progettata dallo studio EMBT di Enric Miralles e Benedetta Tagliabue, è tuttora in fase di realizzazione).

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Dell’edificazione di questa colossale struttura si inizia a discutere dalla metà degli anni Sessanta, quando il Comune di Napoli individua a Poggioreale una gigantesca area industriale (110 ettari) che reputa la sede ideale per accogliere un quartiere composto in larga parte da uffici che, sulla carta, avrebbe dovuto decongestionare il traffico del centro. Per dare vita a questa cittadella futuristica con vista sul Vesuvio vengono presentati infiniti progetti fino a quando, nel 1982, a spuntarla è quello di  Kenzō Tange, straordinario architetto e urbanista devoto a Le Corbusier, molto attivo anche in Italia (dove sviluppa, tra le varie cose, il quartiere Librino di Catania), a cui il Giappone aveva affidato nel 1946, quando Tange aveva poco più di 30 anni, l’intero coordinamento della ricostruzione post-bellica del Paese.

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In un dettagliato articolo pubblicato su Artribune, Carlo De Cristofaro spiega come il progetto del CDN vertesse sul fatto che la circolazione viaria e quella pedonale dovessero occupare due quote diverse “con il livello stradale a raso che si congiunge a quello pedonale attraverso raccordi a verde, con i parcheggi a due piani, il portico pedonale esterno con funzione di filtro chiaroscurale e le aree verdi previste in quattro diverse localizzazioni”. I grattacieli che punteggiano lo spazio sono affidati a nomi rilevanti: il palazzo dell’Olivetti porta la firma di Renzo Piano, le torri dell’ENEL (quelle inquadrate all’inizio del film, al diradarsi della nebbia) sono da attribuire a Giulio De Luca, Renato Avolio De Martino e Massimo Pica Ciamarra, mentre Nicola Pagliara si occupa delle torri del Banco di Napoli.

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Questa ridda di professionisti ed edifici produce un risultato inevitabilmente contraddittorio, generando un’opera che, calata a forza in un contesto con il quale non entra in dialogo, diventa addirittura sinistra nelle ore serali, quando gli uffici si svuotano e il Centro si trasforma in un’oasi spettrale. Lo stesso Corsicato – che tornerà a girare al CDN nel Seme della discordia e nella serie tv Vivi e lascia vivere – ne parla come di “un luogo non luogo, un posto metafisico che sottolinea la solitudine dei personaggi”.

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La ‘città nuova’ esprime un contrasto irredimibile, insanabile, fra tradizione e modernità, tra Storia e Futuro. Un contrasto di cui l’autore si serve con la maestria nell’impiego degli spazi che gli è propria da sempre, come emerge anche da un’intervista rilasciata alla rivista Interni: “Le location dei miei film le scelgo non solo perché sono drammaturgicamente legate ai personaggi, ma anche perché a esse attribuisco un valore simbolico, perché aggiungono un pensiero all’idea della storia e alle caratteristiche e agli stati d’animo dei protagonisti. Libera lo girai nel Centro Direzionale di Napoli perché era un quartiere che sembrava scintillante ma che, per quanto ancora in costruzione, in un certo modo era già degradato, e per me era lo sfondo perfetto per il personaggio di Aurora, una parvenu, una nuova ricca: quel quartiere era ideale per completarla”.

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Sul costante sfondo sonoro dei lavori, Aurora vive la quotidianità di questa antinomia dove, in uno scenario quasi da fantascienza, abita in una casa borghese dall’opulenza ‘gomorresca’, tra agghiaccianti divani in pelle bianca, busti collocati su colonnine e una sala da bagno punteggiata da lavabi e WC rivestiti in foglia d’oro. Un appartamento ‘classico’ calato in un quartiere del domani già interessato dalla decadenza, dove si aprono crepe sul soffitto da cui piombano brandelli di scheletri umani, a sottolineare un deterioramento che non era solo un’abile trovata di sceneggiatura (studi recenti hanno dimostrato come l’area del Centro sprofondi ogni anno di qualche centimetro a causa della presenza di falde acquifere).

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Così, l’Aurora di Iaia Forte passeggia per il quartiere con i palazzoni vetrati che le si stagliano alle spalle ma poi, per ritrovare la verità di una vita precedente, incontra il suo amore di gioventù in una periferia irriconoscibile, davanti a un muro su cui sono affisse le locandine dei porno in programmazione.

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Nel finale Aurora fugge di notte, lasciandosi alle spalle un marito fedifrago che l’ha piantata in miseria e un quartiere deserto, buio, inospitale e fantasmatico. Un’altra dissolvenza la mostra arrivata nel suo paesino d’origine, brulicante di persone e illuminato dalle luminarie ultra kitsch di una festa in piazza.

Aurora abbandona un presente (architettonico e urbanistico, oltre che personale) che, ancora in fieri, contiene già l’evidenza del proprio disfacimento, per raggiungere un’ipotesi di felicità tutta da immaginare, tutta da costruire. A partire da progetti che – si spera – nascano partendo dalla consapevolezza degli errori già commessi.

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Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina Libera

Libera

Grottesco - Italia 1992 - durata 85’

Regia: Pappi Corsicato

Con Iaia Forte, Ninni Bruschetta, Enzo Moscato