Lo scorso 19 gennaio, sui suoi canali ufficiali, è stata annunciata la morte di Luis Vasquez, padre fondatore di un progetto, The Soft Moon, che ha toccato alcuni dei più noti palchi di tutto il mondo dedicati alla scena alternative. Il cadavere è stato ritrovato il giorno precedente accanto a quello del DJ Silent Servant e di sua moglie, all’interno della loro residenza, per cause ancora da chiarire del tutto (l’opzione più probabile sembra essere un’overdose di Fentanil). Mentre aumentano le speculazioni sulla sua tragica scomparsa (il musicista di Los Angeles aveva quarantaquattro anni), arte.tv propone in commemorazione uno dei suoi live più noti, la performance a La Route du Rock Festival 2015, nella città di Brittany, in Francia.
Paladino dell’industrial più recente, Vasquez aveva guadagnato i favori del pubblico con 5 album (+1 distribuito col proprio nome di battesimo), caratterizzati da chitarre distorte, e sonorità post-punk/darkwave attorno a cui gravitavano i nomi di band come Suicide, Nine Inch Nails e Depeche Mode (a cui aprirà durante il tour europeo di Delta Machine). Chiunque abbia mai assistito a un set della band, conosce la formula a memoria: beat ossessivi, voce distorta, look dark, luci stroboscopiche. Non è da meno il live proposto, nel quale la prossemica irosa del cantante e la solita teatralità con la quale sferzava la chitarra hanno accentuato l’atmosfera intensa e cupa che caratterizzava ogni suo show. La setlist ha toccato alcuni dei brani più noti dell’artista: Far, col suo basso new wave e il suo testo disperato (“portami lontano/per scappare da me stesso/perché sono nato per soffrire/mi uccide la mente/ mi uccide dentro/succede sempre”), è un grido di dolore tra i più sentiti dai fan e, non a caso, arriva a chiudere il primo terzo del concerto.
Il live si sviluppa come un crescendo (di bpm, d’intensità emotiva) in cui trovano spazio anche brani interamente strumentali o quasi (suona ironica e deprimente, oggi, Alive, tratta da Deeper), caratterizzati dai suoni distorti che ne hanno composto la cifra stilistica dell’intera carriera, e lunghe sezioni ritmiche (irresistibile la coda tribale di Wrong, forse l’apice di ogni sua esibizione). È proprio durante l’esecuzione catartica di questo pezzo che sembra emergere la rabbia profonda di Vasquez: nel vederlo battere contro i tamburi, alternando mani e bacchette, pare di poter cogliere il barlume di un dramma sfogato attraverso il corpo e scorgere in lontananza un carattere ferino e dolente. Non andrebbe mai letta una carriera, una performance o un’opera d’arte alla luce di una vita, ma il musicista ha reso a tal punto ogni suo palco il teatro di una cruda espressione emotiva, un viaggio oscuro nell’abisso della propria psiche, una finestra sul suo animo tormentato che, a posteriori, è difficile non guardare ai suoi spettacoli passati sotto una luce diversa, che rende inevitabilmente anche la visione di questo live più perturbante di quanto già non sia.
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