Questa serie animata per adulti – ibrido fra passo uno e live action, perché tra reazionari scemi e snob radical chic è una dura lotta – la mandano sul solito Peacock, il servizio di streaming di NBC, e chissà quando la vedremo in Italia. Il tono è mogio perché è un peccato. Già dal pilota, In the Know si propone come una delle serie più succose dell’anno; di quelle che, volendo, ne parleresti volentieri anche nella vita vera a una persona in carne e ossa a te più o meno cara e davanti a un bicchiere di quello buono. Innanzitutto è una serie che ti ricorda l’importanza di una cosa tanto bella quanto difficile da gestire, tipo la peperonata: il contesto. Preso alla lettera, il primo episodio di In the Know potrebbe essere scambiato per lo sfogo del capo ultras della curva Non si può più dire niente, che fra tutti è quello che si sa esprimere meglio per tutta la scuola che ha fatto e quindi gli altri amici tifosi gli fanno sempre scrivere tutti i cori e anche i biglietti di auguri.
È una simpatica parodia di una stazione radio affiliata alla NPR (National Public Radio), organizzazione non profit USA che raduna sotto la sua egida più di mille stazioni radiofoniche e che, specialmente nei grandi certi urbani come New York, ha fama di essere un covo di posizioni notoriamente ultra-progressista pauperiste socialiste di sinistra ultra radical chic extra woke snob. E fa ridacchiare perché è vero, anche se è un umorismo poco di pancia; mentre noialtri, nel frattempo, come ambiente equiparabile possiamo immaginarci il direttivo di un’assemblea provinciale del PD.
La redazione di In the Know, programma radiofonico di interviste oggettivamente interessanti, è composta da una serie di personaggi credibilmente oltre le righe, ancorati (con scarso successo) alla realtà da due figure pratiche e pragmatiche, la produttrice vedova che si sente troppo in colpa per chiedere alle forze dell’ordine come proseguono le indagini sulla morte del marito perché non vorrebbe mai disturbare troppo, e il tecnico/regista appassionato di fantascienza e leggermente più in gamba degli altri nel rispetto dei limiti personali. Sono due personaggi Grimmione, persone per così dire canoniche (ciò che immaginiamo più vicino a un ideale di norma) che affrontano gente eccentrica e con certi problemi nell’affrontare le regole base della socialità. Persone che alimentano il proprio egocentrismo facendolo passare per altruismo disinteressato. Che aggrediscono sulla cosa giusta da dire o di fare per conformismo e fanatismo.
Sono il conduttore primadonna Lauren Caspian, che si sente letteralmente dio in terra e un eroe sceso tra i mortali per condividere con più persone possibile le sue brillantissime posizioni sulla rava e sulla fava, e che dice di aver avuto un erezione leggendo il Mito della caverna di Platone; la redattrice Fabian, che esordisce dicendo “Non parlatemi nemmeno oggi, sono appena stata aggredita in metropolitana. L’odore del dopobarba di qualche idiota ha triggerato la mia emicrania. La maniera in cui questo paese tratta le persone neuro-sensitive mi fa venire voglia di bombardare un negozio di fragranze per il bagno”;
lo stagista Gen Z raccomandato dai genitori ricchi, che arriva tardi in ufficio perché durante un threesome è rimasto bloccato nella camera a deprivazione sensoriale dei suoi ospiti, una coppia di dj techno sordi; e Sandy, critico cinematografico dalla pelle grigiastra che prima di scrivere una recensione guarda un film una volta con il volume abbassato e una volta con gli occhi chiusi, poi lascia sobbollire i pensieri per due anni come uno stufato creolo e infine è pronto per condividerli. Al momento Sandy è arrivato al quattordicesimo giorno della sua dieta di sole uova: è così che James Caan si è rimesso in forma per Una strana coppia di sbirri (commedia poliziesca interpretata in coppia con Alan Arkin per la quale non c’era alcun bisogno di rimettersi in forma).
Mentre vengono registrate le interviste per una puntata che “vuole fare le pulci al concetto di bellezza” – intervengono, in carne e ossa, la supermodella, attrice, lettrice e figlia di Cindy Crawford Kaia Gerber e l’icona gay di Queer Eye Jonathan van Ness – si srotola il dramma: dall’alto di una superiorità morale rigorosamente auto-certificata, oggi Lauren ha avuto lo stimolo di concedere a una persona momentaneamente privata di un tetto sulla testa di utilizzare l’unico bagno della stazione radio. Quando il collega essere umano purtroppo indigente decide di rinchiudersi dentro e di non uscire mai più, però, sorgono alcuni problemi di ordine etico. Di forzare il poveruomo non se ne parla. È dunque giusto cercare di convincerlo a liberare il bagno? Oppure noi non siamo nessuno per costringerlo a volere ciò che noi vogliamo e dunque dovremmo lasciarlo libero di esprimere il proprio libero arbitrio? Guarda che se rispondi male lo scrivo su Twitter.
Ed è più o meno da queste parti che ritorna il contesto, come quella buonissima peperonata di Pasqua che è ritornata a Pasquetta. In the Know è l’ultima creazione di Mike Judge, il più brillante finto paraculo degli ultimi trent’anni di televisione e cinema, quello che ha creato Beavis and Butt-head e Silicon Valley, oltre a scrivere e dirigere Impiegati... Male! e Idiocracy. Accanto a lui, come co-creatore e voce del protagonista Lauren, il diplomato alla scuola The Office (e Silicon Valley) Zach Woods. La presenza di due ideatori così abituati a utilizzare il linguaggio parodico (o autoparodico) con toni grotteschi e allegorici, sovverte la presa in giro e non butta il bambino con l’acqua calda. Va oltre il pensiero base del “siccome i progressisti dicono anche che quando un* si sente un termoarredo ci si deve rivolgere a * come a un termoarredo e non come a un radiatore, allora non è nemmeno giusto che le donne abbiano il diritto di abortire” e attribuisce gli eccessi fanatici del wokismo a persone vanesie, concentrate ciecamente sul soddisfare il proprio bisogno di sentirsi superiori. C’è sempre bisogno di stare o da una parte o dall’altra? Forse è meglio essere dei finti paraculi per dimostrare le assurdità di una parte e dell’altra.
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