La passione di George Lucas per l’architettura – disciplina che avrebbe studiato se, come pare, il padre non glielo avesse impedito – traspare sin dal suo primo lungometraggio, THX 1138, in Italia L’uomo che fuggì dal futuro, girato in gran parte all’interno di una mastodontica opera di Frank Lloyd Wright, il Marin County Civic Center, alle cui forme il regista si sarebbe poi ispirato per immaginare le strutture abitative del pianeta Naboo nella trilogia prequel di Star Wars. Wright progetta la sua più grande commissione nel 1957 a San Rafael, California, dando vita a un gigantesco campus punteggiato da una serie di uffici pubblici e istituzionali – un edificio amministrativo, una sala di Giustizia, una Biblioteca, il Veterans Memorial Auditorium, la Exhibit Hall e un’agenzia postale circolare che rimarrà la sua unica realizzazione per una struttura governativa nazionale negli Stati Uniti – tutti inaugurati dopo la sua scomparsa e costruiti sotto la supervisione di uno dei suoi allievi, Aaron Green.

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Marin County Civic Center

Concepito come una navicella spaziale adagiata fra le colline (anomalia estetica che, miracolosamente, non produce un impatto visivo drammatico sul paesaggio che la accoglie) ed edificato nella forma di due ali allungate che, dopo aver scavalcato altrettante autostrade, si collegano a un elemento centrale, il Centro è la rappresentazione plastica di quella metropoli degli spazi ondulati propugnata dal Maestro già nel 1932, quando presentò il suo concept di città ideale, Broadacre City. Secondo uno splendido articolo pubblicato su Domus, con il suo Marin Country Civic Center “Wright approfondisce le contaminazioni estetiche e sostanziali delle decorazioni nel dare identità alla modernità dei suoi edifici; traccia – sperimentandoli – molti principi di quella che ormai viene collettivamente riconosciuta come architettura organica e [...] produce una visione che fonde insediamento umano e topografia del territorio con architetture dal linguaggio quasi alieno, dove convergono i decori dell’America primordiale della Ennis House, Art Nouveau, Déco, il paesaggismo delle Prairie Houses e della Kaufmann Fallingwater House e l’organicismo del Guggenheim di New York”.

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L'uomo che fuggì dal futuro

Le decorazioni citate nel pezzo riguardano, per esempio, l’impiego dello stucco rosa per le pareti interne e la scelta del blu per i tetti. Ma in che modo Lucas utilizza questo capolavoro postumo nel suo film d’esordio? Paradossalmente lo nasconde, ne mostra le zone più anonime (i corridoi bianchi), rendendolo riconoscibile solo in sparuti fotogrammi in cui si nota il rosa delle pareti (in una scena misteriosa dove un gruppo di suore incede lungo un vasto corridoio), e concedendo appena la fugace vista dell’immensa hall, da cui si desume come ogni ala sia composta da due corpi laterali paralleli congiunti da un percorso centrale composto da una serie di ballatoi disposti su livelli differenti.

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L'uomo che fuggì dal futuro

Soprattutto, Lucas rende oppressivo, concentrazionario e anti-utopico un luogo sviluppato a partire dal sacro fuoco dell’utopia, in cui le amplissime pareti vetrate che lo connotano avrebbero dovuto essere il corrispettivo architettonico dell’auspicata trasparenza abbracciata dalle istituzioni presenti al suo interno. In THX 1138, l’onnipresente bianco è il colore della spersonalizzazione, della perdita dell’identità. Un’idea che l’autore californiano porta alle estreme conseguenze girando le scene del reparto di detenzione all’interno dell’unico set ricostruito in studio: un’enorme stanza interamente dipinta di bianco.

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L'uomo che fuggì dal futuro

Una scelta cromatica precisa e radicale, a proposito della quale – nella sezione ‘movies’ del sito architettura.it – è riportata una pertinente chiosa di Franco La Polla tratta dal suo volume dedicato al nuovo cinema americano: “Tutta la scenografia, il concetto stesso di spazio ambientale del film sono pensati funzionalmente al ‘corpo’, il quale, d’altro canto, tranne che nelle scene direttamente erotiche, è ridotto ad un suo minimo segnico (il volto) attraverso una specie di assimilazione dell’ambiente (il biancore degli abiti che è il biancore dello sfondo e degli altri elementi ambientali)”.

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L'uomo che fuggì dal futuro

Una curiosità finale: che un’aura vagamente cospiratoria dovesse fluttuare tra i magnifici locali del Centro fu probabilmente percepito anche da Philip Dick, il quale, nel novembre del 1971, si recò presso la stazione di polizia presente nell’edificio denunciando il furto di tutti i suoi documenti da parte della CIA, e obbligando gli agenti a far saltare in aria la sua cassaforte ignifuga solo per constatare che non era stato portato via nulla. Un episodio che, secondo il biografo dell’immenso scrittore, avrebbe rappresentato l’innesco per quello stato paranoide di cui Dick non sarebbe mai più riuscito a liberarsi.

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L'uomo che fuggì dal futuro

Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina L'uomo che fuggì dal futuro

L'uomo che fuggì dal futuro

Fantascienza - USA 1971 - durata 90’

Titolo originale: THX 1138

Regia: George Lucas

Con Robert Duvall, Maggie McOmie, Donald Pleasence, Ian Wolfe

in streaming: su Apple TV Amazon Video Timvision