Agli albori del periodo Edo, nella prima metà del Seicento, il Giappone si chiude a riccio, teme l’intromissione del cristianesimo (vedi Silence) e perseguita gli occidentali. Figuriamoci l’unica di sangue misto. Figlia di un abuso, Mizu ha gli occhi azzurri quindi è considerata un mezzo mostro, ma diventa una guerriera invincibile e parte per il suo viaggio di vendetta.
Un anime giapponese creato dagli americani e realizzato da animatori francocanadesi, c’era di che sputar per terra e invece, deposto il pregiudizio nonostante i samurai parlino inglese (aiuto), ci si trova di fronte a un prodotto di alta qualità. L’animazione, prima di tutto, opera della Blue Spirit di Parigi, gli stessi di La mia vita da Zucchina. Ricca di dettagli, alcuni dei quali di formidabile coerenza rispetto alla cultura di riferimento (la sequenza del bunraku, il teatro di marionette con cui si riassume ellitticamente un pezzo di racconto, è straordinaria) e con attenzione all’eroismo ed erotismo dei corpi.
Una resa eccellente che non ha nulla da invidiare a quella dei grandi mangaka, benché sia, come ovvio, derivativa di tutta una tradizione precedente. Creata da Michael Green (già DC Comics) e Amber Noizumi, Blue Eye Samurai è co-prodotta da Jane Wu, anche regista del pilota e dell’ultima puntata (la 8: ma ultima per modo di dire, il finale è aperto). Interessante figura questa Wu, trentaquattrenne cineasta originaria di Liaoning in Cina (ma lei tiene a dire di essere di Taiwan) gavetta in Marvel a disegnare storyboard e che di Mizu, flaubertianamente, dice: «C’est moi ». Strepitose le parti marziali. Ho visto il futuro degli stunt e il suo nome è Kaiser Tin-u.
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