Ai tempi fu un dei film più sottovalutati di Mauro Bolognini; oggi La corruzione è stato giustamente rivalutato da chi ha studiato il regista. Che nel 1963, reduce da tre film bellissimi (La viaccia, Senilità, Agostino), già pativa l’etichetta ottusa di regista estetizzante, unicamente votato alle ricostruzioni d’epoca, e spiazzò tutti dirigendo una storia del Boom, ambientata in quella che allora si chiamava “industria culturale”. Ma attenzione: un anno prima che uscisse L’uomo a una dimensione di Marcuse, come fa notare Roberto Cadonici.
Il soggetto: Alain Cuny è un cinico e potente editore milanese (con villa sul lago di Como), che gode nel ridurre gli intellettuali a lacchè, e mal sopporta la scelta del proprio figlio Stefano (Jacques Perrin) che vuole entrare in convento. Al che pensa di farlo sedurre da qualche bella donna: e chi meglio della propria amante (Rosanna Schiaffino)?
Un film così nasceva, oltre che da una sceneggiatura dei giovani Ugo Liberatore e Fulvio Gicca Palli, anche da un progetto produttivo preciso: Alfredo Bini, dopo avere prodotto Accattone di Pasolini (grazie alla mediazione di Bolognini), aveva voglia di fare esperimenti a costo contenuto, alto prestigio culturale e buon potenziale commerciale. Nel 1963 produsse La bella di Lodi di Arbasino e Missiroli, con Stefania Sandrelli, e La corruzione. La star, in questo caso, era la sua compagna; e parte del film è girato sul suo yacht: quando si dice risparmiare... Anche se ciò non andava a scapito della confezione.
La fotografia di Leonida Barboni, con le sue splendide ombre, il montaggio sempre sorprendente di Nino Baragli, le scenografie di Maurizio Chiari (che mescolano sapientemente arte contemporanea e rococò per stigmatizzare una certa cafoneria dell’epoca) e le musiche di Giovanni Fusco sono tra quanto di meglio aveva da offrire il cinema italiano dell’epoca. Il mercato però disse di no in entrambi i casi, anche se La corruzione andò un po’ meglio. E comunque si respira una libertà e un’audacia di cui pochi vollero accorgersi.
Se ne accorse Filippo Sacchi sul settimanale borghese “Epoca” (che a proposito della scena della seduzione scrisse che era forse «la più bella, la più intensa, la più lirica scena erotica del nostro cinema»), non se accorse Morando Morandini sul settimanale popolare “Le ore”, accecato da pregiudizi di stampo “Cinema Nuovo”. E poi, quel finale... Jacques Perrin, ridotto a una sagoma nera, dice: «Il mondo è quello che è e non si cambia. Io sono ricco e difenderò i miei quattrini. Come mio padre». In montaggio alternato, in una balera la gente balla ignara l’hully-gully.
Pier Maria Bocchi (che nel 2008 ha firmato col sottoscritto la prima monografia su Bolognini), dopo avere fatto un paragone con un’altra scena di ballo di un altro film del 1963 (Il boom di De Sica), scrive che è «il simbolo di una standardizzazione generazionale che Bolognini dà per già avvenuta, mentre il cinema se ne accorgerà un po’ più avanti». Anche in ciò, un film profetico.
Il film
La corruzione
Drammatico - Italia 1963 - durata 98’
Regia: Mauro Bolognini
Con Rosanna Schiaffino, Jacques Perrin, Alain Cuny, Isa Miranda
in streaming: su Amazon Prime Video Amazon Video Timvision
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