C’è un che di sacro nei live di PJ Harvey e non potrebbe che essere così per un’artista che ha più volte dichiarato di aver trovato in Nick Cave (con il quale ha pure avuto una breve relazione negli anni novanta) una grande fonte d’ispirazione. D’altronde, la parabola di Polly Jean Harvey l’ha vista passare dall’icona rock scandalosa e provocatoria che era all’inizio della sua carriera (si legga il testo, per esempio, di To Bring You My Love per capire l’irruenza della sua scrittura) a cantautrice intima, ieratica e malinconica.

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PJ Harvey - Olympia, Paris

A sette anni dal precedente The Hope Six Demolition Project, lo scorso 7 luglio è stato distribuito per Partisan Records (il che ha segnato l’interruzione di una collaborazione ventennale con Island) il decimo album solista della cantante, dal titolo I Inside the Old Year Dying che si discosta dal lavoro precedente per temi (l’album può essere letto come un ampliamento del suo secondo libro Orlam) e per l’approccio minimalista agli arrangiamenti, un’opera accolta col favore del pubblico e della critica.

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PJ Harvey - Olympia, Paris

Nella sua sezione dedicata alle performance live, arte.tv propone PJ Harvey - Olympia, Paris, esibizione in cui Harvey, accompagnando il set con alcuni dei suoi più grandi successi (Down by The Water, White Chalk ecc.) esegue per intero il suo ultimo lavoro all’interno della magnifica cornice del teatro Olympia, celebre arena parigina (la sua edificazione risale al 1888) che ha visto le più grandi star della storia della musica alternarsi sul palco, dai Beatles e i Rolling Stones ai Led Zeppelin e Thom Yorke. Accompagnata da una serie di musicisti di fiducia e collaboratori, tra cui spicca il sodale John Parish (anche produttore dell’album insieme a Flood), Harvey esegue i brani lasciando ben poco spazio per il dialogo col pubblico e profondendosi in una performance estremamente fisica.

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PJ Harvey - Olympia, Paris

Il corpo magro, asciutto di Harvey diventa un vero e proprio veicolo di senso, un corpo attoriale che produce un’esibizione multi-stratificata. La sua plasticità, il suo alternare movimenti di danza a pose statiche, sembrano restituire i significati dei brani oltre l’aspetto propriamente musicale. Guardatela posare col braccio sinistro alto, la mano aperta, il busto proteso in avanti e il microfono lungo il fianco durante The Garden, a mimare una tensione ascensionale doppiata dall’ombra che ne tratteggia la sinuosa silhouette sul muro alle sue spalle, o ammiratela quasi congelata affianco ai musicisti tra gli arpeggi eterei di A Noiseless Noise, quasi fosse una statua greca. Il live si muove così tra la religiosità del suo ultimo periodo e gli slanci rock della prima parte della produzione dell’artista, costituendo un perfetto affresco diacronico di una carriera intramontabile.

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PJ Harvey - Olympia, Paris

Autore

Pietro Lafiandra

La prima epifania cinematografica la ebbe a quattro anni con Pomi d’ottone e manici di scopa. La seconda in adolescenza con Cosmopolis. Ora, in età adulta, prova a trovare un’improbabile sintesi tra questi due lati di sé muovendosi faticosamente tra un dottorato in visual studies, deepfake, cinema horror, film d’animazione per bambini e musica elettronica. I componenti della sua band, Limonov, dicono che è colpa dell’ascolto compulsivo dei Radiohead. Gli amici che è colpa del suo segno zodiacale, i gemelli. I dottori della schizofrenia. Lui pensa sia più cool dire che è un intellettuale post-moderno. Ai posteri l’ardua sentenza.