Una delle tante caratteristiche affascinanti di questa miniserie qui, scritta dalla brava e ignota Marissa Jo Cerar a partire dall’omonimo romanzo di Charmaine Wilkerson, è che doveva uscire in Italia (in quota Disney), poi non è uscita più in Italia e allora ce ne siamo appropriati noi. Ancor più affascinante, Black Cake è una di quelle classiche serie cuccagna per i giornalisti artisti dell’albero, i quali potrebbero riempire tre cartelle di presentazione estasiata, belle dense e infiocchettate, solo parlando del titolo. La black cake è un dolce caraibico che nasce come evoluzione dei tristi pudding natalizi importati da quegli asini di inglesi, che adesso si sono pure scoperti screziatori di panettoni dall’alto di una pasticceria notoriamente messa in verticale per tentare di distrarre dal gusto. Esso, il dolce, che è anche conosciuto come rum cake o torta nera giamaicana, dev’essere una roba di una bontà esagerata, di un livello calorico assolutamente ingestibile per il metabolismo di un over 40 e complicatissima da preparare, ma è soprattutto il simbolo di una fiera cultura post-coloniale che si riprende i propri spazi e fa sentire il proprio orgoglio.
E allora Black Cake, a scatola aperta (per alcuni) ma volendo anche a scatola chiusa, diventa subito una di quelle serie che dipingono un grande affresco attraverso le generazioni parlando di storia e identità, personali e collettive; una di quelle serie che hanno l’ariosità dello stampo letterario – non solo perché è tratta da un libro, ma per la cadenza che sceglie di dare alla narrazione – e sono uno di quei grandi racconti romanzeschi che sembrano fatti apposta per fomentare la retorica di un recensore, che si può sbizzarrire scrivendo cose tipo questa miniserie è come la torta da cui prende il nome: ricca, decadente, inebriante, dolce, densa, speziata, assemblata con fatica e fierezza, orgogliosa della cultura meticcia che rappresenta, RESILIENTE. Se tutti scrivessero così, internet imploderebbe su se stesso sotto il peso di tanta banalità. Il problema è che è tecnicamente tutto vero: il pilota di Black Cake promette una serie grossa e vasta, che spazia in tutto il mondo all’inseguimento di un personaggio misterioso (la protagonista che da trapassata si racconta al figlio e alla figlia), affascinante, figlia di una cultura raramente raccontata (il melting pot delle Indie Occidentali negli anni 60) che invece oggi rappresenta una fondamentale fetta della società del Regno Unito. Rubando le parole a ChatGPT che si finge un recensore: come la tradizione culinaria da cui prende in prestito il titolo, Black Cake è un mélange di culture riunite per creare qualcosa di nuovo, magnifico e complesso.
La storia è quella dell’anziana surfista Eleanor, madre di un brillante oceanografo (Byron) e di un’artista che ha tagliato i ponti con la famiglia otto anni prima e che a più di trent’anni ancora alza gli occhi al cielo come una bambina delle medie quando si scoccia (Benny). Eleanor scopre di essere affetta da un tumore al cervello allo stadio terminale e nell’anno che la separerà dalla sua dipartita decide di organizzare una lettura del testamento con i fiocchi.
Il notaio di famiglia, il signor Mitch, avvisa i fratelli, riuniti per la prima volta dopo molto tempo, che la madre ha salvato su di una chiavetta il racconto della storia della sua vita. Chiede che i figli la ascoltino insieme, sotto la supervisione del fidato notaio. La storia che Eleanor racconta è lunga, complicata, avventurosa, ricca di sorprese e totalmente ignota a Byron e Benny, convinti che la mamma fosse cresciuta in un orfanotrofio prima di trasferirsi a Londra.
La realtà è molto meno semplice e/o banale. Eleanor non si chiama nemmeno così. Il suo vero nome era Covey ed era nata e cresciuta nei Caraibi degli anni 60, figlia di una donna giamaicana e di un uomo cinese. Dopo essere stata abbandonata dalla madre a 11 anni, Covey cresce con il padre – patriarca alcolista e scommettitore, ma in grado di provare dell’affetto sincero per la figlia – e sogna di sfruttare il nuoto, disciplina in cui eccelle, per lasciare l’isola insieme alla migliore amica Bunny, magari seguendo a Londra l’amato Gibbs.
Il padre, però, contrae debiti insormontabili con il gangster dell’isola, Little Man, e dopo avergli intestato il negozio, per non perdere anche la casa si sente costretto ad accettare un compromesso devastante e sbagliato, ma che in quegli anni di oscurantismo dei diritti femminili non era considerato né immorale, né particolarmente estremo: cede la mano della diciassettenne Covey a Little Man, costringendola a sposare il loro aguzzino in cambio della salvezza della famiglia.
Inutile raccontarvi che la ragazza non ci sta e, con lo straziante aiuto di Bunny, trova un modo per fuggire da casa e scappare a Londra, dove all’epoca le ragazze caraibiche erano accolte con entusiasmo, visto il bisogno crescente di schiavi legalizzati, ragazze alla pari, prostitute e via discorrendo. Covey assume il cognome della madre fuggiasca, cambia nome e inizia una nuova vita. Ma sarà quella definitiva? Zan zaaan. Capite? Questa serie qui è una di quelle bombe pre-confezionate che ti fanno concludere un pezzo con una domanda misteriosa che lascia la suspence lì lì appesa. Pazzesco. Vado a guardarmi anche tutto il resto.
La serie tv
Black Cake
Giallo - USA 2023 - durata 55’
Titolo originale: Black Cake
Creato da: Marissa Jo Cerar
Con Jade Eshete, Adrienne Warren, CCH Pounder, Ashley Thomas, Jeremiah Birkett, Joey Akubeze
in streaming: su Disney Plus
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