Il Programma
Con il realismo magico de La chimera di Alice Rohrwacher è ufficialmente iniziata l’edizione 2023 del FILMMAKER FESTIVAL, che animerà fino a venerdì 27 novembre i grandi schermi di Arcobaleno Film Center, Cineteca Milano Arlecchino e lo Spazio Realtà Virtuale di Anteo Palazzo del Cinema. A partire dalla scelta del film d’apertura - distante solo apparentemente dallo spirito indipendente che contraddistingue Filmmaker - il più antico festival milanese, dal 1980 impegnato ad analizzare come l’immagine in movimento abbia messo in forma il reale, dimostra di conservare uno sguardo giovane, lucido, attento, consapevole del passato (che continua ad esplorare), capace di intercettare le evoluzioni in atto nel presente (che siano relative allo stato dell’industria cinematografica o alle molteplici forme che la documentaristica assume oggi) e, soprattutto, curiosamente aperto al futuro. Tutto ciò non può che riflettersi in una programmazione quanto mai ricca ed eterogenea, comprendente un totale di 48 titoli (di cui 21 prime mondiali e 15 prime italiane) e articolata in nove sezioni.
Vecchie conoscenze (come Sylvain George con Nuit obscure - Au revoir ici, n’importe ou, Elvis Ngabino con Le fardeau e Deborah Stratman con Last Things) si affiancano a piacevoli scoperte (gli italiani L’albume d’oro di Samira Guadagnuolo e Tiziano Doria e Banzavois di Lorenzo Casali) nel Concorso Internazionale, composto da 10 film differenti per formato, genere e durata, ma accomunati da una grande ricerca formale attraverso la quale ripensano il cinema del reale. Immigrazione, devastazione ambientale e memoria sono solo alcuni dei temi su cui riflettono i film della categoria.
Accanto a autrici e autori affermati, Filmmaker continua a scommettere su giovani – in particolare registe e registi italiani under 35 - nella sezione Prospettive, composta da 15 titoli in concorso e 2 fuori concorso. Storie familiari (Dove siamo? di Emma Onesti), confronti generazionali (Api di Luca Ciriello), ritratti privati (A Norma di Carlotta Cosmai, Pedro Pablo HdeO, Michela Zolfo, Maryam Shater) e collettivi (Jaima di Francesco Pereira), nei quali il gesto del filmare è innanzitutto un’affermazione del proprio sguardo sul cinema e sul mondo.
Estremamente varia è anche la proposta del Fuori Concorso, composta da 9 film, tra cui l’ambizioso e controverso Sparta di Ulrich Seidl, uno degli sguardi più radicali del contemporaneo con il quale Filmmaker ha una lunga frequentazione. Troviamo, inoltre, Notre Corps, acclamato come film dell’anno in tutto il mondo, di Claire Simon, che terrà anche una masterclass insieme alla studiosa Barbara Grespi, e Le mura di Bergamo di Stefano Savona. Secondo Luca Mosso, direttore artistico del Festival, questo è «il film più importante del 2023» per come ha saputo riflettere sulla pandemia da COVID-19 attraverso i modi del cinema diretto.
Spesso presenti in sala gli autori, che Filmmaker cerca sempre, quando possibile, di portare, i quali interagiscono con l’inconfondibile pubblico del festival, che proprio nel dialogo e nel dibattito ha una delle sue cifre distintive.
Protagonista della sezione Fuori Formato è la regista, alchimista e artista performativa Gaëlle Rouard che porta a Filmmaker il lungometraggio, sospeso tra cinema, pittura e fantasmagorie, Darkness, Darkness, Burning Bright, mentre esprimono una ricerca in divenire i 5 film della sezione Filmmaker Moderns.
Da non perdere la nuova sezione intitolata Strade Perdute, in cui autori amici del festival, sia italiani che internazionali, hanno donato a Filmmaker una sequenza precedentemente tagliata dal montaggio definitivo di uno dei loro film. Montati insieme questi frammenti, autonomi rispetto ai film di partenza, possono ora essere finalmente visti e portare verso inedite strade.
Infine, a dimostrare quanto la programmazione di Filmmaker sia sempre più aperta agli scambi disciplinari, ci pensano le ultime tre sezioni. Filmmaker Expanded, dedicata alla realtà virtuale e immersiva, già presente al festival nella scorsa edizione, prevede il concorso Gradi di Libertà, in cui competono 6 opere italiane, e un programma internazionale che, quest’anno, presenta una sezione monografica dedicata alla pluripremiata autrice sudcoreana Gina Kim. Presente a Filmmaker anche il teatro di ricerca, nella sezione Teatro Sconfinato che ospita il gruppo Anagoor con il loro film-opera Todos Los Males. La letteratura è rappresentata nella sezione La lunga vita delle parole: scrittori, romanzi e film, in cui uno scrittore, Alessandro Bertante e una scrittrice, Helena Janeczek, in due incontri, si cimenteranno in un esercizio di concreta immaginazione proponendo, a partire da due romanzi che vorrebbero vedere trasposti al cinema, film fatti di sole parole.
In fin dei conti, qual è il ruolo di un festival se non quello di rendere accessibile ai suoi spettatori qualcosa che non hanno mai visto e che non potrebbero vedere altrove? Filmmaker lo fa alla perfezione.
Margherita Monaco
Una giornata a Filmmaker
La giornata di Filmmaker inizia tra i vagoni della metro milanese, stipata di pendolari in moto da e verso casa. Chi è diretto verso Filmmaker, ormai giunto a metà di questa edizione 2023, sa benissimo quali siano le due stelle polari in grado di condurre a destinazione: San Babila e Porta Venezia, le mete designate per gli incalliti cinefili che tentano uno slancio affannoso ma tenace, tote bag al braccio e giacca alla mano.
Ma l’affanno arriva dopo. La giornata inizia mollemente dinanzi alle porte vetrate del cinema Arcobaleno. Chi con una sigaretta alla mano, chi con un bicchiere ormai pieno di ghiaccio sciolto, chi attende in silenzio in solitaria l’arrivo di un amico disperso, chi chiacchiera in gruppo di cosa li aspetta in sala.
Poi uno sguardo all’ora richiama all’ordine, le porte si aprono e accredito alla mano, si plana a passo svelto verso la propria poltrona rossa. Il primo appuntamento della giornata è con il Concorso Prospettive, giovani registi under 35. Sorrisi sghembi e voce tremolante dall’emozione, gli autori presentano in poche parole i loro progetti.
La casa, intesa sia come costruzione fisica sia come nido di nascondimento ed evasione, è il fulcro di Lacrime di terra, firmato da Manuele Granelli, Ettore Rinaldi e Francesca Venzano, così come di Buon anno di Yichun Ma. Da un lato, la vistosa distruzione di Craco, in Basilicata, abbattuta da una violenta frana, che si ripopola di fantasmi attraverso immagini d’archivio. Ma le case sono ormai cosparse da cocci di bottiglia e nidiate di formiche, in un paesaggio apocalittico reso ancora più pressante da un tappeto sonoro incisivo.
Dall’altro, la casa di una studentessa cinese in quel di Milano, chiusa tra le quattro mura in compagnia di altrettanti gatti, una vita mediata dal cellullare come unica forma di contatto con un paese raggiungibile in quindici ore di aereo. I dialoghi continui e interminabili ingabbiano ancora di più la protagonista in una morsa di pressioni sociali e aspettative disattese. In sala, ogni giudizio, dall’aspro al tenue, non resta celato.
Uno sguardo all’ora getta i fan di Filmmaker un tantino in affanno, attenti a calcolare il percorso più veloce e meno dispersivo per giungere alla nuova destinazione. Valutata l’impossibilità del riuscire a ottenere in così poco il dono dell’ubiquità, borsa e amici alla mano, si vola in direzione San Babila. Si ripete una situazione già vista, a qualche ora di distanza di fronte alla Cineteca Arlecchino: porte a vetro attraversate, sigarette accese e spente, chiacchiericcio indisciplinato che fa perdere la concezione del tempo. Ma due corti e un mediometraggio all’orizzonte riportano all’ordine: Filmmaker moderns presenta il disturbante Animal di Riccardo Giacconi, in cui umano e artificiale si fondono in un dialogo in cui l’oralità diventa un mezzo per giocare con l’immaginario dello spettatore.
Inizia poi il Concorso Internazionale: Lukas Marxt, direttamente dall’Austria, arriva in sala per raccontare al pubblico il suo Valley Pride, uno sferzante attacco al disastro ecologico e sociale che sta avvenendo al sud della California, dove il Salton Sea si sta ormai prosciugando.
Last but not least, la giornata di proiezioni si chiude con Last Things di Deborah Stratman: le “ultime cose” del titolo siamo noi umani, esseri fragili e caduchi, microscopici frammenti di una cosmogonia troppo grande per trovare un centro preciso.
Con le immagini ancora impresse nella retina, tra una palpebra calante bloccata dal desiderio di discutere col proprio vicino dell’amalgama di immagini appena viste, si conclude con un’ultima corsa verso l’ultima metro, una giornata di proiezioni, tra sperimentazione e scoperte inattese, tra dibattiti accesi per un cinema del reale che si dimostra in continua espansione.
Vittoria Villa
Le mura di Bergamo
In una proposta composta principalmente da anteprime mondiali o italiane, il programma di FILMMAKER 2023 presenta alcune eccezioni: film che il festival milanese ha scelto di riportare sul grande schermo, consentendo loro di continuare a circolare nonostante abbiano già avuto dei passaggi in sala. Tra questi, Le mura di Bergamo di Stefano Savona (presente in questa edizione anche in veste di giurato del Concorso Internazionale) che, presentato alla Berlinale 73 e al Bergamo Film Meeting, oltre ad aver avuto una distribuzione lo scorso marzo, è tornato accessibile al pubblico grazie a FILMMAKER, che lo ha inserito tra i nove film dell’estremamente varia, per temi e forme, sezione Fuori Concorso.
Dalla lunga e travagliata gestazione, il progetto di Le mura di Bergamo prende avvio a partire dalla decisione di Stefano Savona di recarsi, nella primavera 2020, nella città italiana destinata a essere la più colpita dal COVID-19: Bergamo. Proprio nel momento in cui l’epidemia continuava imperterrita a mietere sempre più vittime, il regista palermitano ha deciso di esporsi in prima persona al rischio, con l’intenzione di realizzare una testimonianza diretta e approfondita su quanto stava accadendo nella città lombarda, un controcampo utopico alla cronaca confusa e asettica con cui televisioni e media ci hanno quotidianamente bombardato. Se ciò non bastasse a delineare il tipo di cinema a cui Stefano Savona aspira, un cinema di ricerca, sociale e in prima linea, scorrendo la sua filmografia si può presto notare quanto egli sia avvezzo al pericolo.
Mentre guerre e conflitti l’hanno spesso portato all’estero, con Le mura di Bergamo Savona si è trovato a confrontarsi non solo con un “nemico” decisamente diverso, ma anche con qualcosa di più vicino a lui: l’Italia. Un film di inedite esplorazioni per il regista, anche perché ha scelto di condividere per la prima volta la macchina da presa. Assieme a lui, un gruppo di giovani registi, suoi ex studenti del corso di documentario del CSC di Palermo ai quali ha chiesto di accompagnarlo in questa difficile operazione. Il risultato? Molteplici punti di vista e oltre mille ore di girato esaminate assieme per trovare un’omogeneità dello sguardo. Le mura di Bergamo è dunque un racconto corale su una collettività – la comunità cittadina bergamasca - isolata, messa in ginocchio dal virus ma che con resistenza tenta di ricostruirsi. Il ritratto di una città-comunità che Savona compone seguendo cronologicamente tre momenti dell’emergenza: la malattia, la guarigione/la morte e l’elaborazione. Tre momenti che sono anche tre luoghi: l’ospedale, i Covid hotel e i giardini sulle mura di Bergamo, popolati di volta in volta dalle persone con cui la troupe è riuscita a instaurare una relazione umana, preziosa materia prima del film.
Le sirene delle ambulanze, il costante squillare dei telefoni del centralino di emergenza del 118, il rumore dei ventilatori polmonari e le voci del personale medico compongono il tappeto sonoro infernale che accompagna le immagini girate tra le stanze e i corridoi degli ospedali. La macchina da presa segue l’azione e osserva da vicino, riuscendo a catturare con la dovuta delicatezza anche quei piccoli gesti di umanità - come una mano posata su una spalla - altrimenti invisibili.
Il linguaggio tipico del cinema diretto e d’osservazione lascia il posto, nelle parti del documentario ambientate nei Covid hotel, alle confessioni di coloro che sono riusciti a sconfiggere il virus. Tra questi, un signore che, abituatosi all’idea di stare per morire, viene pervaso dai sensi di colpa per essere sopravvissuto.
Le parole sono al centro anche dei diversi incontri in cui alcuni dei personaggi del film, seduti in cerchio sul prato, conversano e condividono con gli altri la propria esperienza di pazienti, familiari di defunti, medici, operatori presso le pompe funebri. Singolare si fa universale dando vita a una vera e propria seduta terapeutica di gruppo che non lascia escluso lo spettatore.
In aperto dialogo con diversi film presenti in questa edizione di Filmmaker, nonché con alcune opere precedenti di Savona, Le mura di Bergamo combina il girato a immagini preesistenti. Provenienti dall’archivio della città gestito da Cinescatti, immagini private di famiglie bergamasche girate in quegli stessi luoghi dagli anni ’30 fino ai giorni nostri sono utilizzate seguendo diverse idee registiche. Talvolta collegate da analogie visive, come quando l’immagine d’archivio che mostra un corpo di un neonato che viene girato a pancia in giù su un lettino d’ospedale viene associata alla sequenza in cui il corpo di un malato di Covid è soggetto al medesimo movimento. Altre volte sono utilizzate per evocare e rendere visibili le testimonianze dei personaggi o per mostrare ciò che ad alcuni è stato negato, come il rituale di un funerale. Infine alcune immagini agiscono come controcampo interiore di quanto si sta mostrando, come nella sequenza musicale in cui varie generazioni della città si uniscono in una danza collettiva per ricordarci cosa significa essere una comunità.
Proprio nell’ottica di un cinema inteso come arte della memoria, e in una sorta di mise en abyme di archivio nell’archivio, Le mura di Bergamo, considerando l’intero materiale inedito che presenta, è in sé un documento storico di inestimabile valore, testimonianza di ciò che è stato, eredità per coloro che vorranno tentare di comprendere quello che è accaduto. In sostanza, il punto zero sul Covid-19 a Bergamo. E forse uno degli interventi più toccanti del film è proprio quello della giovane donna delle onoranze funebri, che rimpiange di non aver fotografato i volti di coloro che non ce l’hanno fatta prima di chiuderli per sempre nelle bare, lasciando così i loro cari privi di un ultimo ricordo tangibile.
Insomma, l’importanza di archiviare per ricordare, in pieno spirito FILMMAKER.
Margherita Monaco
I vincitori
Questa edizione di FILMMAKER 2023 ha regalato soddisfazioni. In primis, per le sale che hanno ospitato il festival: la Cineteca Milano Arlecchino e il cinema Arcobaleno sono stati attraversati giornalmente da numerosissimi cinefili e affezionati, che si sono mossi con disinvoltura tra i titoli del programma, dal Concorso Internazionale al Fuori Concorso, da Prospettive fino alla VR (con sede all’Anteo Palazzo del Cinema).
Ma l’attesa era tutta per la cerimonia di premiazione, che ha preso il via domenica 26 novembre nella sala grande dell’Arcobaleno Film Center. Eccovi tutti i vincitori delle diverse categorie.
Seguendo l’ordine predisposto dalla cerimonia stessa, condotta dal direttore artistico Luca Mosso, i primi a trionfare sono stati i progetti di Realtà Virtuale presenti nel Concorso Gradi di libertà presieduto dalla giuria composta da Pietro Lafiandra, Alessandro Redaelli, Ariella Vidach. Due i premi: Premio Rai Cinema Channel a Recorda Me di Emilia Gozzano, in grado di immergere il fruitore in un’opera d’illusione fantastica che stupisce per la sua tangibilità; il Premio Gradi di libertà è invece per VR FREE di Milad Tangshir, esperienza di “evasione” offerta ai detenuti di un carcere torinese, riflessione sul paradosso delle potenzialità e limiti del medium immersivo.
Passo successivo della cerimonia, verso il Concorso Prospettive, che premia autori e autrici italiani fino ai 35 anni, quest’anno affidato a una giuria composta da Caterina Bogno, Beatrice Favaretto e Alberto Tamburelli. Tre i premi dedicati a questa categoria: si parte con la Menzione speciale, assegnata ad Annalucia di Lea Binarelli, giovanissima filmmaker classe 2006 in grado di cogliere le sfumature della generazione a cui lei stessa appartiene, districandosi tra le diverse e vitali forme dell’amore. Il Premio della giuria è destinato invece all’opera di Giacomo Bolzani, Calugem – Storia di un padre sui tetti, progetto che utilizza una pluralità di forme e piani per raccontare la storia dello spazzacamino Alberto, in equilibrio precario tra il suo presente e i ricordi del passato. A chiudere il Concorso Prospettive, il Premio della giuria Nicola Curzio, a indicare il miglior film della sezione di questa edizione di Filmmaker: a vincere è Dove siamo? di Emma Onesti, ritratto famigliare che si focalizza sul fratello minore della regista, Simone, nello spettro autistico. Il risultato è un’inedita rappresentazione della neurodiversità, fuori da ogni retorica, e che non rinuncia a mostrare autentici momenti di forza e fragilità.
Arriviamo ora ai vincitori della sezione principale di FILMMAKER, che, mappando le traiettorie del cinema presente, ha visto concorrere giovani autori dallo sguardo maturo con grandi firme del panorama cinematografico mondiale: il Concorso Internazionale.
Premiato dalla giuria giovani, composta da nove studenti provenienti da accademie, università e scuole di cinema milanesi, Background di Khaled Abdulwahed trionfa grazie alla sua capacità di presentificare l’assenza del padre attraverso il recupero e la manipolazione di sue immagini fotografiche preesistenti.
L’utilizzo dell’archivio è al centro anche del secondo vincitore del Concorso Internazionale, premiato dalla giuria composta da Stefano Savona, Marianna Schivardi e Lucia Tozzi: Loving in between di Jyoti Mistry, che si aggiudica il Premio della Giuria. Ritmato dalle note di Diga Diga Doo e guidato da un testo destrutturato ispirato ai versi poetici di Langston Hughes, il film di Mistry è un inno all’amore e alla libertà sessuale, lontano da ogni tabù.
Dulcis in fundo, il premio più importante del festival, il Premio FILMMAKER 2023. A conquistare il cuore dei giurati, e non solo, un documentario intimista dal linguaggio tradizionale: Le Fardeau di Elvis Ngambino. Un racconto ambientato in una comunità della Repubblica Centrafricana che vede protagonista il cugino del regista e il suo percorso di accettazione e condivisione di una malattia lì ancora considerata punizione divina: l’AIDS. Un progetto solido che fa ben sperare per il nuovo cinema africano.
Insomma, a FILMMAKER ha visto trionfare, ancora una volta, la sperimentazione e il legame indissolubile con la realtà, ritratta attraverso pluralità di forme e voci, in grado di emergere in tutta la sua contradditoria autenticità.
Non ci resta che attendere cosa la prossima edizione ha in serbo per noi!
Margherita Monaco e Vittoria Villa
Per informazioni più dettagliate e il programma completo, rimandiamo ai canali social di Filmmaker e al loro sito web: https://www.filmmakerfest.com.
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