Non so se lo sapete, ma la commedia stand-up è – utilizzando il termine tecnico suggerito dai legali del sindacato comici – vecchia come il cucco. Gli statunitensi, che forse fanno un po’ troppo gli splendidi con i collegamenti (ma tant’è), ne piazzano le origini negli anni ‘40 dell’800, quando tuuutti erano molto razzisti e avevano bisogno di pagare qualcuno che andasse sul palco per celebrare la faccenda. La stand-up contemporanea, comunque, nasce fra gli anni 50 e 60 con la televisione, la diffusione dei dischi e l’apertura dei primi comedy club (1963). E anche se 60 anni sono sensibilmente meno di 180, comunque in questa mezza dozzina di decadi la stand-up nata negli Stati Uniti d’America è cambiata di generazione in generazione. Questo per dire che una nuova generazione di comici – comici veri, non con l’autotune – si sta stabilendo nella stand-up comedy mainstream, quella che potremmo mettere nel macro-insieme dei performer dal seguito abbastanza rumonumeroso da convincere Netflix o chi per esso a produrre uno speciale e distribuirlo a livello internazionale. Magari – anzi, quasi sicuramente – sono comici che oltre a far la legna nei comedy club (che sono locali rigorosamente fumosi dove si esibisce la gente buffa), hanno saputo sfruttare il potere dei social network, pur detestandone le dinamiche tossiche.
Comici tipo Matt Rife, che è classe 1995, che ha cominciato a esibirsi nei comedy club quando aveva 15 anni, che dopo un inizio di carriera normale ha cominciato a pubblicare quotidianamente su TikTok clip dei suoi spettacoli (specialmente dei momenti improvvisati di crowd work) ottenendo un successo tale da permettergli di auto-prodursi tre speciali e che, a livello estetico, è la mascella più simile a Brad Pitt a cui il mondo della comicità stand-up potrà mai aspirare. Seriamente, guardate la parabola di quella mandibola. Porta dritta alla pentola d’oro. Mio dio qualcuno lo avvisi che d’ora in poi è obbligato per legge ad andare in scena solo se ha qualcosa da masticare mentre parla. Rife ha 28 anni, ha fatto il grande salto di carriera (tour mondiale+speciale Netflix) anche grazie alla visibilità ottenuta su TikTok e i riferimenti pop che cita sono Harry Potter, la Marvel, Naruto, Lil’ Nas X (in un bit un po’ forzato), Timon e Pumbaa e la serie tv Tredici; eppure odia i giovani e ama i vecchi.
Fa strano sentire un nemmeno trentenne che si lamenta delle generazioni più giovani della sua – perché non sanno prendersi le loro responsabilità, perché credono agli oroscopi e ai poteri di protezione dei minerali e perché scambiano John Lennon per Harry Potter. Parla del tempo della vita e di generazioni perché è consapevole di essere un Gronchi Rosa – ci sono pochi comici mainstream sotto i 30 anni, anche su Netflix – e di avere accesso sia a chi c’era prima di lui, per esperienza e capacità d’osservazione e di studio, sia a chi ci sarà dopo di lui, per prossimità. Parla della vecchiaia, di come gli piacciano gli anziani pieni di storie da raccontare e degli aneddoti che condividerà lui a quella età. Prima c’è da mettere su famiglia però. E il suo timore è che gli ritorni una bella dose di karma per non essersi trattenuto nemmeno un po’ dal prendere pesantemente per i fondelli la maggior parte delle categorie umane possibili.
“Io spero che ci sia un dio, ma oggi è difficile con la religione. È vero che porto una catenina con la croce, ma è per lo stesso motivo per cui porto un preservativo ai primi appuntamenti. Spero di non doverlo usare (ammiccando) ma sai... Non si sa mai”. Le sue energie stanno fra il ragazzo della confraternita collegiale – non quello cattivo/arrogante o bamboccione/scervellato degli stereotipi anni 80 e 90, bensì quello moderno dalla simile attitudine crassa, ma capace di essere sensibile – e l’insegnante di tennis e/o bagnino nella piscina del country club, che fa le battute a doppio senso alle sciure ingioiellate con la faccia tirata come una fionda. È Otter di Animal House – sergente alle armi dei Delta Tau Chi, discreto appassionato di passera – che piuttosto di diventare ginecologo a Beverly Hills, ha preferito imparare con grande profitto il mestiere del comico pur continuando a preferire le donne più grandi e sposate.
Nella prima e unica storia di famiglia del suo speciale, per esempio, racconta di quando il patrigno ha scoperto che lui, a 12 anni, gli aveva rubato una VHS pornografica e snocciola le relative conseguenze. Non una comicità dalle tematiche sottili; sfruttata però da un comico estremamente preparato e inventivo (basta aspettare la fine dello spettacolo per avere un assaggio delle sue doti di improvvisazione mentre interagisce con il pubblico). Rife, tuttavia, ha il carisma, l’attitudine giusta – spavalda, seducente, sicura di sé ma non tracotante – e la brillantezza per convincerti a dargli fiducia, sperando (con afflato sicuramente anziano) che a sorreggere le volgarità ci siano delle fondamenta più memorabili, oltre a una vana risata di circostanza. E sicuramente ci sono – un po’ sepolte dalla posa oltre le righe, necessaria a irretire il suo pubblico – visto che Rife porta sul palco la persona di un tardo millennial che ha abbracciato le istanze della Gen Z sul ruolo fondamentale della cura alla salute mentale, pur mantenendo un atteggiamento di facciata burbero e scettico come quello delle generazioni precedenti.
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