Classe 1965, vincitore di tre premi César (per Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle), I Re e la Regina e Lo scafandro e la farfalla) nonché tra i più noti attori d’oltralpe degli ultimi trent’anni (le sue interpretazioni vantano la regia di nomi illustri come Roman Polanski, David Cronenberg, Arnaud Desplechin, Alain Resnais e Wes Anderson), Mathieu Amalric durante tutta la sua carriera ha affiancato l’attività di interprete a quella di regista di lungometraggi (Stringimi forte, La camera azzurra) e serie tv (L’agent immobilier).
Nella sezione “Corti dei Grandi”, arte.tv propone il suo cortometraggio d’esordio del 1990, dal titolo Sans rires (letteralmente: senza risate), la storia di Jean, un uomo attempato che fa ritorno nel suo vecchio quartiere per prendere parte al funerale della moglie recentemente defunta, dopo averla abbandonata per anni. Per Jean, tornare sui suoi passi e ripresentarsi alle persone che aveva lasciato anni addietro è un doloroso processo di messa in discussione del proprio percorso (“facevo ridere le persone, ho fatto ridere anche te” dirà a una vecchia conoscenza in una delle prime scene del film), nel quale l’uomo rivisita con la mente i volti, i luoghi e gli oggetti che aveva lasciato, ma che non riesce più a collocare in un posto preciso (“Di chi è questo posto?... sono le stesse sedie, lo stesso velluto!”): immobili ma diversi, stagnanti e scintillanti di luce nera, come un macabro museo delle cere i ricordi di Jean agonizzano nello spazio e nel tempo, simili a quella moglie che “è stata molto male. Era finita...” e che non riusciva più a uscire di casa, bloccata nel letto.
Jean non riesce ad aderire al presente, ma nemmeno a fare realmente i conti col suo passato; nulla serve a ritrovare lo spirito del tempo passato, della giovinezza, delle antiche speranze, nemmeno un amico che prova (letteralmente) a tirarsi a lucido, stirandosi il maglione ancora indossato mentre canta un motivetto. Jean pare non avere più posto per le risate (di questo, d’altronde, Amalric ci avvisa sin dal titolo). Non c’è illuminazione nel suo film (la fotografia chiaroscurale finisce quasi con l’affossare i personaggi in una luce opaca, rendendo difficile orientarsi nel quadro, un soffocante 4:3), non c’è alcuna possibilità di respirare, ma solo cravatte faticose da annodare, schiene inarcate e tanta, tanta stanchezza.
Il film è una materia densa che fatica a dispiegarsi davanti agli occhi, con i personaggi che arrancano da un lato all’altro dell’inquadratura aspettando che la pellicola giunga alla sua fine annunciata, la liberazione finale di una campana a morto. Nonostante la giovane età (quando il corto è stato distribuito, il regista aveva solo venticinque anni), Amalric affronta il disincanto della vecchiaia con lo sguardo distante di una camera mai troppo partecipe e propone un’idea di cinema che è essenzialmente corporale: la malinconia, il dramma interno, i rancori personali, passano non tanto dalla scrittura, ma prima di tutto e soprattutto attraverso la postura del corpo, gli sbuffi, i suoni e i molteplici sguardi affranti verso il pavimento.
Sans rires di Mathieu Amalric è disponibile in streaming su arte.tv
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