“Neznan” è un termine sloveno traducibile con “sconosciuto”. La stessa espressione che Ana, una donna incinta, scrive sul modulo di accettazione in un ospedale prima di scoprire di non essere presente nel database e di dover (metaforicamente?) “partorire sul pavimento”. La ragazza è di origine serba, ma è (era) residente in Slovenia, ed è stata cancellata dal registro di cittadinanza in seguito alla dissoluzione della Jugoslavia e proprio a causa di questa damnatio memoriae, per quanto le sia concesso di partorire in ospedale, la bambina viene immediatamente sfilata dalla sua custodia.
Un espediente calato in una realtà storica ma di aperta matrice surrealista che recupera a piene mani la poetica kafkiana (non stupisce, quindi, che in molte inquadrature la fotografia curata da Dusan Joksimovic provi a schiacciare la protagonista contro le mura imponenti dell’ospedale dove la vicenda ha inizio, come il grandangolo di Edmond Richards opprimeva contro giganti strutture il corpo magro di Anthony Perkins nell’immortale adattamento di Il processo di Orson Welles, qui palesemente citato in più di una scena).
Non solo: Ana viene ripresa in diversi momenti avvilita dietro a delle pareti divisorie (simbolo di uno scollamento tra lei e le istituzioni) oppure dietro a recinti (la grata della camionetta della polizia che la trasporta al centro di accoglienza temporanea) che, alla stregua delle linee intersecate nei titoli di testa di Intrigo internazionale, diventano veri e propri labirinti di senso, le linee geografiche di uno smarrimento identitario: Ana viene separata dalla figlia (registrata in Slovenia, dove lei non compare più), espropriata della lingua (“perché mi parlate in inglese?” dirà a un funzionario) e privata delle proprie radici (il suo documento ufficiale viene letteralmente tagliato in due di fronte ai suoi occhi, fendendo la fotografia che la ritrae), fino all’annullamento totale della propria maternità (le viene impedito di allattare la bambina appena nata in quanto non riconoscibile come sua genitrice) e quindi del proprio stesso futuro.
Quello di Ana non è insomma un mero smarrimento formale; questo spaesamento finisce con l’assomigliare a un’esperienza di annullamento totale (un’esperienza pre-morte...) molto vicina a quella sperimentata da Watanabe, il protagonista di Vivere di Kurosawa – non a caso passato alla storia per una pluri-citata sequenza in cui il regista cristallizzava il dedalo della burocrazia. Se il dramma del protagonista del capolavoro del cineasta di Tokyo si risolveva in un viaggio interiore, nell’obbligato confronto con la propria dipartita, Ana si rifiuta di “morire socialmente”, di finire nella comunità di apolidi cancellati per essere nati in altre repubbliche jugoslave, ormai disillusi sulle reali possibilità di ottenere la cittadinanza, e dà battaglia per non rimanere inascoltata cercando di ottenere uno spazio mediatico che porti alla luce la sua storia. D’altronde lo dice lei stessa durante un dialogo con un uomo che vive da anni nella sua stessa condizione: “non voglio essere invisibile”: la lotta per la visibilità, però, comporta dei costi.
Erased di Miha Mazzini è disponibile in streaming gratuito su Arte.tv
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta