L’han detto in tanti ma non fa male ripeterlo. Tapie è stato una sorta di Berlusconi francese («ma più di sinistra»). Li univano l’instancabile fregolismo imprenditoriale, il mix di populismo seduttivo e demagogia sorridente, la faccia tosta (e abbronzata) a oltranza, il camaleontismo ideologico, soprattutto la vocazione a incarnare quello che, sotto sotto, il cittadino medio desidera per sé (soldi, potere, donne, magari pure una squadra di calcio al top). A Tapie, certo, è andata un po’ meno bene, in una serie di saliscendi privati e pubblici (galera compresa) che la miniserie Netflix, dedicata alla sua vita tra gli anni 60 e i 90, documenta con brio, però attenta ad avvertire all’inizio che i fatti sì ci sono, anche se i dialoghi e il privato sono fictionnel, cioè “inventati”.
Un buon compromesso, e pure invitante, dunque, quello che il co-creatore Tristan Séguéla, figlio del Jacques geniale pubblicitario (e amico di Tapie), allestisce con il romanziere-sceneggiatore Olivier Demangel, complice un mimetico (e fisicamente somigliante, con la zazzera giusta) Laurent Lafitte. D’altronde, non ci si può proprio annoiare con una vita del genere, anzi con le mille vite del titolo italiano che quasi consentono di dedicare ciascuna delle sette puntate a un Tapie diverso: il cantante di belle speranze, il venditore di elettrodomestici e tv, l’imprenditore fondatore di un pronto soccorso express per malati di cuore, il super-finanziere, il CEO di Adidas (!) e poi il politico, il patron dell’Olympique Marsiglia (very Berlusconi qui), e certo si dimentica qualcosa. Tapie resta sempre lui, smargiasso, incontenibile, fanfarone, spaccone, un gran figlio di si direbbe da queste parti, eppure ogni volta capace di risalire la china, tra incoscienza dei propri limiti, ambizione smisurata ed elasticità morale (estrema), nella foga inesausta di smarcarsi dalle origini operaie (e dal padre modesto riparatore di caldaie, presenza silenziosamente giudicante).
Intanto, attorno a lui, scorrono come in un diorama facce, nomi, fatti, mondi, dalla tv dei saranno famosi anni 60 al banchiere Loiseau (Fabrice Luchini, che recitò con il vero Tapie al cinema, in un’altra vita non raccontata qui) mentore upperclass dal ghigno beffardo e poi carnefice, dall’Eliseo con Mitterand (che, obbligandolo a dimettersi da ministro, gli dice: «Non la immaginavo così fragile») alle mazzette ai giocatori del Valenciennes per non stancare troppo in campionato l’Olympique in vista della finale di Champions con il Milan (Silvio, sempre lui!). Per la verità, una costante c’è: la seconda moglie Dominique, consigliera preziosa e non sempre ascoltata, prova provata che le grandi donne non stanno solo dietro ai grandi uomini. Ma, alla fine del consueto biopic insieme complice e critico, un po’ affascinato dal suo ingombrante protagonista, c’è un bello scatto, con l’ultima puntata quasi per intero dedicata al faccia a faccia prima del processo tra Tapie e il magistrato che lo mette davvero davanti a quello che è stato e che, invece, avrebbe potuto essere. Lo sapremmo fare noi in un Le mille vite di Silvio Berlusconi ?
La serie tv
Le mille vite di Bernard Tapie
Drammatico - Francia 2023 - durata 53’
Titolo originale: Tapie
Creato da: Tristan Séguéla, Olivier Demangel
Regia: Tristan Séguéla
Con Laurent Lafitte, Joséphine Japy, Evan Arnold, Patrick d'Assumçao, Antoine Reinartz, Camille Chamoux
in streaming: su Netflix Netflix basic with Ads
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