Regia di Jim Sheridan vedi scheda film
Curiosa operazione, questo remake-lampo di Non desiderare la donna d'altri (2004) di Susanne Bier, sostanzialmente ri-girato con un'adesione rispettosissima verso la pellicola originale. A che pro? L'unica motivazione sostanziale cui si può pensare è che - come per i due Funny games girati da Haneke - Brothers esista soltanto per mostrare come si può trasformare in un successo internazionale un lavoro dalla convincente accoglienza in patria; ma a dire il vero oltre alla differenza evidente del cast, non è che questo secondo film mostri grandi variazioni rispetto al precedente: la produzione non è tanto più dispendiosa e la storia rimane esattamente identica, tanto da lasciare inalterati persino i nomi dei personaggi scritti dalla Bier e da A. T. Jensen. Difficile anche stabilire quindi l'importanza della sceneggiatura attribuita a David Benioff (La 25esima ora, Troy, Il cacciatore di aquiloni), che presumibilmente non si dev'essere divertito neppure tanto a fare questa sorta di copia e incolla. Soprattutto sull'operazione-remake pende il punto interrogativo relativo alla possibilità di migliorare il successo di un film che comunque già vantava un tris di interpreti danesi di chiara fama (Ulrich Thomsen, Nikolaj Lie Kaas, Connie Nielsen, qui rimpiazzati da Jake Gyllenhaal, Tobey Maguire e Natalie Portman), ottenendo premi in numerosi festival mondiali, fra cui anche Cannes, San Sebastian e al Sundance. Insomma, Brothers è semplicemente un mistero: non è un brutto lavoro, ma è inevitabilmente poco sensato alla luce di quanto esposto; Sheridan, irlandese trapiantato in America (già regista fra gli altri di Nel nome del padre e Il mio piede sinistro), trascina negli Stati Uniti la polemica contro la (=ogni) guerra che è in pratica il fulcro del film danese, andando così a strizzare l'occhiolino al pubblico yankee, notoriamente sensibile alla tematica e avido di prodotti di questo taglio. Se già Non desiderare la donna d'altri diceva però poco di nuovo sul tema, Brothers ovviamente non fa che ripetere quei rari spunti interessanti e quel mare di ovvietà: dalla guerra si esce sempre sconfitti, la guerra è già di per sè una manifestazione di morte, contro la vita, contro l'uomo; nessuna guerra è giusta e chiunque prenda parte a una guerra porterà con sè i terribili ricordi dell'esperienza per il resto della sua vita. La guerra è un trauma: ma appunto, ancora una volta: a che pro? 4,5/10.
Un uomo parte soldato per l'Afghanistan; ad accudire la moglie e la figlia piccola lascia suo fratello. L'uomo sarà però creduto morto, concedendo alla presunta vedova l'occasione per rimpiazzarlo con il fratello; ma che fare quando il soldato ritorna?
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