Regia di Michel Franco vedi scheda film
Venezia 80. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Se rimaniamo in superfice “Memory” è la storia d’amore delicata e travagliata tra Sylvia e Saul. Una love story come tante benché priva di momenti zuccherosi e romantiche tragedie. Ma se guardiamo oltre, come il titolo originale, opportunamente immutato nell’edizione italiana, ci lascia intendere, il nuovo film del regista messicano Michel Franco, è un film sulla memoria o, forse, per essere più precisi, un film sulle “memorie” fragili ed inconsistenti dei due protagonisti.
La prima è quella di Sylvia (Jessica Chastain), una donna single, madre di una figlia, che al liceo è stata stuprata ed ha una storia di alcool alle spalle. L’aggressione subita in gioventù è stata rinchiusa in un cassetto, debitamente sprangato, per proteggerla dal ricordo del dolore. I catenacci alle porte ed i riti che riducono l’ansia incrementando il deficitario senso di sicurezza, di cui Sylvia sente il bisogno, sono il segno della rimozione e dell’incerto recupero dei fatti che non riesce a sfondare le impenetrabili linee di sicurezza erette dalla mente. Il meccanismo di autodifesa di Sylvia non solo avvolge la verità della memoria in una coltre fumosa ma spinge al paradosso di una menzogna che si sostituisca alla verità creando un ulteriore sistema di difesa. Sylvia, una volta conosciuto Saul ad una festa di ex liceali, viste le strane maniere di lui, crede di avere a che fare con il suo stupratore. Il cortocircuito emozionale che si crea la spinge ad incolpare l’uomo dell’antico trauma. È Saul lo stupratore? È lui la causa dei suoi mali e di quelle porte chiuse con una miriade di lucchetti e spioncini? O forse i meccanismi di difesa, eretti con tanta perizia, la spingono a mentire per sbarazzarsi di un uomo ambiguo che le crea paura ed ansia incontrollabili? La memoria di Sylvia è un artificio costruito a sua tutela, un congegno inespugnabile che la preserva da ulteriori ingestibili contraccolpi tanto più che il rapporto con la madre è pessimo e solo la sorella è una spalla su cui contare.
La seconda memoria è quella di Saul (Peter Sarsgaard), un uomo ancor giovane ma colpito da demenza. È una memoria fallace che gli impedisce di accumulare ricordi di breve termine. Le alterate funzionalità psichiche di Saul sono di ostacolo ad una piena consapevolezza del proprio stato d’animo e dei propri sentimenti e lo mette nella condizione di essere accudito e sorvegliato.
Il blocco mnemonico di cui è affetta Sylvia è rivolto al passato, il limite sensoriale da cui è colpito Saul è rivolto al futuro, un futuro segnato che tuttavia non è totalmente compromesso.
Michel Franco racconta una normalissima storia d’amore che, tra alti e bassi, avvicina Sylvia a Saul smussando due solitudini scaturite da presupposti diversi. L’amore, infine, sgretola barriere invalicabili donando, finalmente, un lumicino di speranza a chi può soltanto vivere la vita, giorno dopo giorno, con rinnovata sorpresa, e regalando serena arrendevolezza a chi, invece, vorrebbe chiudere con il passato grazie all'insospettabile benessere scaturito da un rapporto intimo vissuto con lacerante ed inusitato trasporto.
Il regista messicano non smentisce sé stesso. Il suo cinema rimane minimalista, i “non detto” superano di gran lunga le informazioni che vorremmo ricevere sui protagonisti e sul loro passato. Meglio così. La memoria del film è altrettanto labile e oscura, grigia come le sensazioni rilasciate in corso d’opera.
Le vite di Saul e Sylvia hanno il colore di un cielo nuvoloso, i toni della penombra di un appartamento, il livore dell’autunno del cuore. Ma non c’è sofferenza, rabbia e malinconia che non possano sciogliersi nell’abbraccio liberatorio di un uomo e una donna che smettono di respingersi e si arrendono ad un destino incerto ma pur sempre condiviso. Coppa Volpi a Peter Saarsgaard e due intense interpretazioni per un autore che, ancora una volta, mette a nudo le ambiguità della vita in un film imperdibile e denso di significati.
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