Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film
Una delle opere più poetiche e delicate del cineasta russo, in pieno sviluppo delle tematiche già trattate nel precedente Stalker (1979).
Anche in questo capolavoro, Tarkovskij pone al centro di tutto la Fede, intesa non tanto come atto religioso quanto come intima volizione.
Il regista torna a denunciare fortemente la totale apatia e assenza di spiritualità della società moderna, ormai crogiolata nel “feticismo delle merci”.
Tarkovskij predica una riappropriazione di se stessi attraverso la ritualità e la potenza interiore dei gesti, una tendenza all’universalizzazione positiva ormai abbandonata per lo storicismo materiale e contingente.
Tarkovskij ci invita invece a tornare a credere nel miracolo, nel trascendente e in quel contatto intimo con noi stessi, ormai portati ad una ricerca dell’io meramente esterna e proiettata sull'”altro” piuttosto che verso “l’interno”.
In questa società puramente esteriore, l’estremo atto d’amore e di Fede incondizionato e disinteressato di Alexander, per il riscatto e la salvezza dell’intera umanità, viene totalmente frainteso.
Il suo mutismo è attribuito alla follia, una “malattia” che spaventa gli uomini per la sua purezza e li porta ad internare questo “pazzo”.
Ma in realtà abbiamo solo un uomo che ha smesso di parlare un linguaggio puramente esteriore, per utilizzare quello universale della spiritualità, che tanto spaventa la società moderna.
Un non linguaggio che viene totalmente travisato e un atto che anche questa volta non può che risolversi con la purificazione del fuoco.
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