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Sacrificio

Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sacrificio

di luisasalvi
4 stelle

E' l'ultimo film di Tarkovskij; l'ho rivisto solo tre volte, troppo poche per parlarne con competenza, ma già troppo più di quanto meriti. P. Mereghetti ne parla male, ma lo riassume così male da rendere inattendibile il suo giudizio; avverte che "cinefili snob, ciellini e mistici dell'immagine sono andati in estasi"; non so a che categoria appartengano M. Morandini e S. Trinchero (degli spietati.it), che gli tributano un voto alto (4/5 e 8,5/10) e lodi sperticate facendone un riassunto simile a quello di Mereghetti, cioè talmente sbagliato che non merita neppure correggerlo. Per database di film.tv.it il film è "una limpida metafora di Tarkovskij sulla perdita dei valori spirituali e sull'esigenza di un "sacrificio" per recuperarli. Dal cupo della disperazione, il regista chiude però su un messaggio di speranza": "limpida"?! Il film è oscuro, confuso, affastella argomenti importanti e vaghe allusioni evangeliche in modo superficiale e approssimativo. Una cosa però è netta ed esplicita: il "sacrificio" è fatto per evitare la catastrofe, cioè per conservare il mondo proprio come è, prima disprezzato perché privo di valori spirituali… ma ne è davvero privo, o solo nei vaniloqui di Alex, già impazzito? Nessun critico ha rilevato il fatto che il medico all'inizio si è già detto preoccupato per la salute psichica di Alex, e che alla fine l'ambulanza viene a prenderlo senza che nessuno l'abbia chiamata, probabilmente già prenotata dal medico prima della sua venuta. E quale sarebbe il messaggio di speranza su cui chiude il film? Forse il ricovero in manicomio (il riconoscimento della follia del film)? Il figlio ripete esattamente l'inizio, a conferma forse della tesi di Otto, che tutto è sempre "la replica dello stesso spettacolo".
Ma cerchiamo di capirne qualcosa. Alexander è un ex-attore (Riccardo III e L'idiota) che proprio nel momento del successo ha smesso per dedicarsi alla critica teatrale. Un tema del film è il teatro, e in generale l'arte, e i suoi rapporti con la religione e con la verità e la vita. I titoli di testa sono proposti sullo sfondo di un particolare della Adorazione dei magi di Leonardo (il dono del vecchio mago e la mano del bimbo Gesù che lo riceve), ripresa più volte, in punti chiave del racconto, in una riproduzione appesa alla parete dietro il divano; il film poi procede con modi e recitazione tipicamente teatrali, con lunghi dialoghi o monologhi, con entrate ed uscite "di scena" (cioè dall'inquadratura) dei vari personaggi. "Film sul silenzio", lo definisce Morandini lodandolo; ma è un tipico film di parole e sulla parola: il figlio di Alex, "ometto" come lo chiama lui ("figlio dell'uomo"?) chiude il film ripetendo la frase iniziale del vangelo di Giovanni, "al principio era la Parola", che all'inizio gli aveva detto il padre.
Il film inizia con una lunga sequenza in un boschetto, dove Alex pianta con il figlio un albero ("giapponese"?), con l'impegno di innaffiarlo ogni giorno con due secchi d'acqua, "con metodo", "come un rituale" (rituale che il bimbo esegue alla fine), perché forse se si facesse qualcosa così "il mondo cambierebbe"; gli aveva anche esposto una critica della nostra società dalla cultura inadeguata, fra troppe parole inutili ("words, words, words") e troppa violenza concreta: "se almeno qualcuno incominciasse a fare qualcosa", per cambiarlo! Gli aveva però citato prima l'inizio di Giovanni, che "al principio era la Parola", aggiungendo "ma tu sei muto", perché il bimbo è appena stato operato di tonsille; ma presto potrà parlare, e le sue prime parole saranno appunto le ultime del film, di inno alla parola, le stesse dette all'inizio dal padre.
Arriva l'amico Otto, professore di storia in pensione ed ora postino part-time, che rimprovera Alex di "aspettare qualcosa", di essere sempre in "attesa della vita vera" perdendo la vita reale, anche se poi riconosce di farlo anche lui e che lo fanno tutti; ma lui pensa che la vita si ripete sempre, anziché rinnovarsi: sempre "la replica dello stesso spettacolo" (sempre il tema del teatro). Otto se ne va promettendo di venire a fasteggiarlo con un dono. Nello stesso boschetto arrivano altri per festeggiarlo, fra cui il medico Victor che esprime alla moglie preoccupazioni per la salute psichica di Alex; i nuovi arrivati proseguono in auto mentre Alex dice che tornerà a piedi con il figlio; invece si siede per terra e riprende a raccontare; a un tratto il figlio si allontana, non lo si vede più e poi gli piomba in testa a testa in giù (era salito sull'albero? O è già sogno?) e cade con il volto un po' insanguinato, mentre Alex si alza stordito, barcolla e cade svenuto.
Si vede una scena di distruzione, di un incidente d'auto o di guerra, ma confuso: un'auto rovesciata e distrutta all'inizio di strisce pedonali, rovine, stracci e sangue, gente indifferente… Il passaggio è improvviso e tutto ciò che segue ha un sapore onirico ben diverso dall'inizio e dalla fine del film, sembra un lungo sogno-incubo di Alex, in parte surreale, finché, dopo la ripetizione della stessa scena di distruzione, Alex si sveglia sul divano, sotto la riproduzione del quadro di Leonardo. Ora invece (all'inizio del sogno-incubo?) ammira altre riproduzioni, di icone antiche, in un libro appena ricevuto in dono da Victor, e le paragona a preghiere: ancora arte e dono, arte e religione, e ancora la critica alla società odierna, in cui non si fanno più simili creazioni perché si è persa la spiritualità.
Si riparla di teatro e del passato di Alex. Arriva Otto con il dono, una antica carta geografica dell'Europa: "Sarà stato un gran sacrificio!"; "certo, risponde Otto, ogni dono che si fa è un sacrificio": il dono dei magi al bimbo (alla Parola) nel quadro di Leonardo che fa da sfondo ai titoli, il titolo stesso del film, il rituale per innaffiare l'albero, che deve servire per far cambiare il mondo… Fra le immagini e parole assurde della parte centrale del film (un'ora e mezza, contro i venti minuti della prima parte fino allo svenimento di Alex e trenta dopo il suo risveglio sul divano), quasi esattamente a metà dell'incubo, alla televisione si dà la notizia di una imminente minaccia nucleare inevitabile, ma preceduta da lunghe inutili considerazioni parafilosofiche, mentre in conclusione l'annunziatore si augura di essere riuscito a trasmettere la notizia prima del blackout (sempre il doppio ruolo della parola: altra "verità" vecchia come la filosofia e da più di due millenni detta in modi più chiari e sensati ed efficaci di questi). Questo arriva puntualmente subito dopo: silenzio, buio, anche il telefono tace. Alex prende una pistola e sale in camera del bimbo, ma poi scende e prega, chiede la salvezza dei suoi cari, poi offre (in sacrificio!) tutto ciò che ha di più caro ed ogni comunicazione con gli altri (la parola!): "diventerò muto, rinuncio a tutto, purché tu faccia tornare tutto come era stamane": proprio quello che non gli piaceva per nulla e che si doveva assolutamente cambiare…
Fuori c'è neve: il sogno continua a cambiare tempi e modi. Otto dice ad Alex di andare da Maria (una loro domestica) e di unirsi a lei per salvare il mondo. Maria è giocata fra confusi ricordi evangelici: data la presenza in casa di una "Marta" sembrerebbe rappresentarne la evangelica sorella, quella che ascolta la Parola (sempre la parola), ma sembra più la madre di Gesù (che nei vangeli non la ascolta!), se da lei deve venire la salvezza del mondo; Alex va da lei, di nascosto e in bici, cade, lei gli versa acqua nel bacile per il lavacro; quando si uniscono levitano; subito dopo la stessa immagine di guerra o incidente già apparsa quando Alex era svenuto nel bosco; ed ora Alex si sveglia sul divano sotto il quadro di Leonardo (visto subito in primo piano): ritorniamo alla realtà?
Alex accende e spegne la luce, sente musica, chiama al telefono il suo editore: tutto funziona, nessuno parla di guerre nucleari. Tutto è come prima: ha sognato, o la sua preghiera è stata esaudita in modo così radicale da cambiare anche il passato ed annullare l'annunzio della catastrofe ed il successivo blackout?
Alex esce di nuovo di nascosto, lasciando un biglietto in cui dice (altra menzogna) di essere in camera a dormire e incarica gli altri di cercare il bimbo nel bosco; quando loro se ne vanno dà fuoco alla casa; gli altri tornano e arriva l'autoambulanza (già precedentemente chiamata da Victor?) che lo porta in manicomio. Il bimbo ripete in conclusione parole e riti che il padre gli ha insegnato; ma Morandini vi legge una conferma che il film è "una variante sul tema dell'uccisione del Padre".
Verso la fine del sogno-incubo Alex racconta a Maria un episodio della propria giovinezza, un racconto suggestivo, e fondamentale nella tematica del film: la sua madre molto anziata passava ore alla finestra a osservare il giardino, incolto e non curato; Alex un giorno che la mamma era aggravata a letto decise di curare il giardino: lavorò a lungo, ma quando tornò a guardarlo dalla finestra era sparito tutto l'incanto di prima, era ormai privo di bellezza. La madre morì senza vederlo. Mi pare ovvio il senso, che corrisponde a quello del sacrificio: anche nella vita Alex vorrebbe cambiare il mondo, che considera privo di spiritualità e (quindi?) di bellezza, ma quando sente (in un incubo) l'annunzio di una catastrofe che lo distruggerà fa voto di rinunciare a tutti i suoi affetti (arte e figlio, e la Parola: strumento per convertire e cambiare) purché Dio riporti le cose esattamente come sono ora: il giardino incolto è molto meglio di quello da lui curato e rinnovato. LA PAROLA NON SERVE, ANZI, ROVINA?
Se il film vuol dire che era meglio non fare il film, l'ha dimostrato pienamente, come Fellini otto e mezzo dice benissimo che si può fare un capolavoro anche solo dicendo che non si ha nulla da dire ma che lo si vuol dire lo stesso: per amore dell'arte e/cioè della vita; amore (e vita) che qui manca, nonostante i continui riferimenti all'arte ed al vangelo; anzi, forse il vero tema del film è proprio la radicale mancanza d'amore, in tutti i personaggi, anzitutto di Alex verso il figlio o di questo verso il padre, di cui esegue alla fine le raccomandazioni e ripete le parole, ma quasi meccanicamente, senza affetto.
Ho citato solo una minima parte dei suggerimenti pseudofilosofici, confusi e velleitari, di questo film, in cui forse (è l'ipotesi più benevola che riesco ad immaginare) il regista si è divertito a infilzare a ruota libera allusioni religiose o filosofiche approssimative (né dissacranti né … sacranti), forse ad imitazione di Bergman (avendone scelto gli stessi luoghi per girare il suo film), ma senza averne l'acume né lo spirito né la competenza.

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