Regia di Richard Fleischer vedi scheda film
Ad un film non bastano un cumulo consistente di anni sulle spalle, un cast all star, un enorme dispiego di mezzi e un budget stratosferico per poter essere definito un “classico”.
Una pellicola deve meritarsela sul serio tale dicotomia. Questo differenzia “I vichinghi” dai tanti film partoriti dall’epoca d’oro del genere storico e troppo spesso sopravvalutati (vedi ad esempio “Quo Vadis”) dalla critica moderna solo in virtù della loro considerevole età storica.
Il film di Richard Fleischer è davvero un classico. Questo perché a dispetto dell’impronta hollywoodiana che inevitabilmente caratterizza queste produzioni (compresa quella in analisi) ci troviamo di fronte a una pellicola dal cuore barbaro come in futuro sarebbe avvenuto solo con “Braveheart” (1995) e pochi altri.
Un’opera in grado di racchiudere l’essenza bruta quanto scanzonata dell’anima vichinga, narrando una storia che riesce nel contempo ad essere avventurosa, spettacolare, emozionante e tragica.
Realizzazione e costumi sono impeccabili e l’assalto finale al castello è da consegnare alla Storia del Cinema. Ernest Borgnine (superbo come sempre) che muore invocando Odino strappa più di un applauso, e Kirk Douglas orbo da un occhio è quasi un’icona.
A impreziosire ulteriormente il tutto è un duello finale tra i migliori del genere, sapientemente girato con totale assenza di colonna sonora ma solo col (meraviglioso) rumore del metallo contro il metallo.
Uno dei migliori film di Fleischer (se non forse il migliore), talentuoso regista autore di altre opere stracult quali “20.000 leghe sotto i mari” (1954), “Viaggio allucinante” (1966) e “2022: i sopravvissuti” (1973). Volendo a tutti i costi trovargli un difetto, sento di poter puntare il dito su una leggera caduta di ritmo nella parte centrale. Ma nulla di grave o compromettente.
Particolarmente violento, o comunque ben al di sopra degli standard del tempo, con un gran bel finale in grado di strappare le lacrime anche al cuore più grintoso.
Un film modello.
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