Regia di Billy Wilder vedi scheda film
Il centenario del cinema è stato celebrato con formule e rappresentazioni diversificate, con film che hanno riscosso alterne fortune sia in termini di pubblico che di critica. Dal 1950 fino al giorno prima, Viale del tramonto di B.Wilder, ha tributato una delle pagine più significative e importanti della storia della settima arte e il trascorrere del tempo non fa che confermarne l’immutabile grandezza intuitiva, la critica perspicace e l’amore incondizionato per il cinema alle sue origini che i tentativi d’emulazione odierni non sono riusciti a sfiorare. Più che ripercorrere all’indietro la strada del cinema come potrebbe far pensare l’inquadratura iniziale, Wilder formalizza un periodo storico, ferma nel tempo cinematografico lo sguardo per edificare le premesse di come si trasformerà l’immagine. Lo sceneggiatore squattrinato Joe Gillis perseguitato dai creditori, conosce una decadente diva del passato, Norma Desmond attrice del muto, che vive insieme al fedele maggiordomo Max in una sfarzosa e pacchiana residenza holliwoodiana, in preda ai ricordi, alle illusioni, eternamente in fuga dal tempo e dalla realtà. Joe nonostante s’innamori di Betty una giovane e promettente collega, diventa il mantenuto di Norma assecondando blandamente i suoi desideri, ma la rottura del loro ambiguo legame porterà alla tragedia. La voce fuori campo di Joe che descrive la vicenda partendo dalla sua morte, è la prima forte provocazione che Wilder immette nel racconto, l’irruzione del sonoro che svela doppiamente la finzione, che smonta la capacità immaginaria dello spettatore e che può mortificare la magniloquenza dell’immagine stessa. Nella sua dorata solitudine invece Norma Desmond è il cinema, la sua essenza e il mito assoluto per cui è stato inventato. Vive di fantasie, di momenti fasulli, di inconsistenze materiali e relazionali, lei è la pura e sola immagine appiattita che per vivere dentro lo schermo ha bisogno di essere vivisezionata, discussa, ammirata, possibilmente amata dallo sguardo della mdp e del pubblico. Joe rappresenta la voracità del pubblico e l’ansia di consumo del cinema stesso, insieme a Betty sono alla guida della moderna macchina dell’ ìmmaginario sempre protesa a trasformarsi, a riprodursi sotto nuove sembianze e capace di affrontare asperità e linguaggi forzatamente diversi dal passato. Joe, cioè il nuovo pubblico di Norma Desmond, dopo averne consumato il mito è pronto al tradimento, all’abbandono e all’oblio subendo tutte le conseguenze del caso. La presenza del maggiordomo Max è un altro interessante tassello metacinematografico: interpretato da Erich von Stroheim che fu realmente il primo regista “scomodo” esiliato all’interno degli stessi valori che il cinema esprimeva perché tentò di ribaltarne i contenuti. Così nel film Wilder lo relega in una parte secondaria e defilata, ormai soggiogato ai capricci del divismo. Cinema d’altri tempi, ma soprattutto storia del cinema su cui Wilder rinunciando in parte ai suoi toni più ironici e sarcastici punta drammaticamente il dito chiedendosi quale possa essere il suo destino e il suo punto di arrivo.
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