Regia di John Wells vedi scheda film
Magnetico, irrequieto e talentuoso, Adam Jones è il George Best dell’alta cucina. Dietro ai fornelli è geniale, ma la solita infanzia complicata gli ha regalato qualche problema di autocontrollo. All’apice della fama, infatti, cede alla triade distruttiva (droga, alcol, copula facile) e cade in disgrazia. Espiate le colpe nella nativa America, dove si autoesilia dedicandosi all’apertura di 1.000 ostriche (le patate non le sbuccia più nessuno...), torna in Europa per la sua seconda occasione, tra piatti lanciati, nuovi amori, rivalità machiste e vecchi creditori pronti a spaccargli le ossa. L’originale Burnt (bruciato) in Italia diventa Il sapore del successo. Per una volta è una modifica centrata che racconta involontariamente la mania hollywoodiana per il riconoscimento come unica metrica esistenziale, tanto che il protagonista è ossessionato dal ricevimento della terza stella Michelin: la certificazione biblica della ristorazione, l’ingresso al paradiso. Eppure, nel suo genere - ineluttabilmente mainstream, tutto ruffianeria, schematismi, crescita pedagogica, tenerezza e scene madri -, il film è un’affilata macchina d’intrattenimento e una ricognizione puntale sull’invadenza pornografica della moderna gastronomia. La messa in scena è sanamente invisibile, lo script di Steven Knight è un trattato di equilibrio, che si permette anche un sano pudore per le derive romantiche più scontante. E si finisce per respirare il sapore del successo. Quello al botteghino.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta