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Tre fratelli

Regia di Francesco Rosi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Tre fratelli

di axe
7 stelle

Tre fratelli raggiungono Donato, anziano padre, residente in un paese agricolo del meridione d'Italia, nella triste occasione del decesso della loro mamma. L'inevitabile confronto li porta a fare un bilancio delle proprie esistenze, molto diverse tra loro. Il più anziano, Raffaele, è un magistrato; Rocco, un maestro; Nicola, un operaio impiegato in una grande azienda di Torino. Dai loro dialoghi e riflessioni, emerge un quadro sconfortante delle condizioni morali e dei rapporti umani nella loro contemporaneità. Francesco Rosi dirige un film estremamente pessimista; racconta, con toni malinconici, quel che rimane delle istanze e dei sogni dei decenni passati, fino agli anni '70; praticamente nulla. Del maestro Rocco, poco sappiamo; il docente, personaggio estremamente riservato, non racconta di sè, se non che non ha una relazione fissa. Probabilmente è gay, preferisce non ammetterlo e rifiuta il dialogo, non partecipando ai continui - e sterili - dibattiti tra gli altri due fratelli, divisi dall'età e dal ruolo nella società. Siamo alla fine degli "anni di piombo"; Raffaele, magistrato, è un bersaglio naturale per i terroristi. Li combatte, a parole e con l'ideologia; non sappiamo quanto, con i fatti, nonostante la moglie sia terrorizzata dalle sue attività e gli rimprovera la perseveranza, svalutandola in arrivismo. Il magistrato tenta di far ragionare Nicola, operaio la cui indole riottosa ha messo in pericolo il suo posto di lavoro. Nicola, pur non approvando l'azione dei gruppi terroristici, ritiene che si debba essere intransigenti contro i "padroni". Separato, sembra, a causa di un'eccessiva litigiosità con la ex-coniuge, alla quale è ancora affezionato, si reca presso la casa paterna portando con sè la figlioletta Marta, una bambina vispa ed ingenua, l'unica persona che rimane vicina al nonno, il quale, pur macerandosi nel dolore, non accorcia le distanze con i figli. Dunque, posso immaginare che il male del nuovo decennio paventato dal regista sia l'incomunicabilità, generata dall'egoismo, dalle molte distrazioni, dall'esaurirsi di quelle pulsioni che avevano spinto generazioni del passato ad unirsi, collaborare, lottare insieme. Nessuno più muore di fame, negli anni '80; soddisfatti i bisogni primari, ognuno può tentare di realizzare sè stesso. Secondo una certa concezione della natura umana, ciò è molto difficile, poichè limiterebbe le corrispondenti aspettative altrui. Dunque, vengono meno la comprensione e la condivisione. Ognuno vuol dire la sua ed avere ragione; non cura i legami con i familiari, ne' si preoccupa degli altri. Vediamo famiglie che si disgregano; dialoghi tra "sordi", un'indifferenza montante. Quanta distanza dal passato di appena pochi decenni prima, raccontato mostrando i ricordi ed i sogni dell'anziano vedovo. Uniti per fronteggiare le calamità - la guerra, la fame - e felici con poco - un semplice matrimonio, il viaggio di nozze in una località di mare - e poi il riposo, dopo molto, molto lavoro, di cui sono testimonianza gli attrezzi presenti nei locali della casa colonica, riposti con cura dopo una vita di utilizzo. Sappiamo che rimarrà ben poco di quel mondo al tramonto; i testimoni - incontrati o rintracciati da Raffaele, impegnato in una piccola ricerca delle proprie radici - sono anziani e pertanto destinati a sparire entro breve tempo. Raffaele, Nicola e Rocco sono interpretati rispettivamente da Philippe Noiret, sempre pacato e paziente; Michele Placido, istintivo, irrequieto, tormentato; Vittorio Mezzogiorno, dall'espressività indifferente. Donato è interpretato dall'attore francese Charles Vanel; il dolore espresso dal suo personaggio è un qualcosa di palpabile; pur appartenendo ad una generazione meglio abituata alla morte rispetto le successive, Donato non riesce a nascondere la sofferenza, che condivide con Marta, unica tra i familiari ad essergli sempre accanto. Emblematica la sequenza che li mostra vicini, in silenzio e nella penombra di una camera da letto, mentre nella stanza di fianco i tre fratelli discutono animatamente delle loro faccende come se nulla fosse accaduto. Il ritmo del film è lento, le atmosfere malinconiche. Francesco Rosi è molto pessimista; rileva come i progressi tecnologici, giuridici e sociali - i quali hanno soddisfatto i bisogni primari degli individui - non garantiscano un miglioramento interiore; la modernità conduce all'egoismo, all'incomunicabilità, alla fine degli ideali, alcuni dei quali, peraltro, evolutisi in estremismi che non hanno portato altro che male. Il futuro poterà benefici ? Forse. Ma, nel presente, meglio non confidare. 

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