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Humandroid

Regia di Neill Blomkamp vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Humandroid

di M Valdemar
8 stelle

 

locandina

Humandroid (2015): locandina



I, I, I / I am your butterfly / I need your protection / Be my samurai ...

È un casino, ma non si può non amare Humandroid (Chappie in originale), uno dei titoli più apertamente sentimentali (e con più cuore e palle) degli ultimi anni.
Neil Blomkamp - dopo il folgorante esordio (District 9) e il secondo lavoro ad alto budget (Elysium, stroncato oltremisura) - fregandosene bellamente di alcune regole fondamentali del manuale per giovani marmotte della catena di montaggio hollywoodiana, concepisce e realizza un'opera che, sebbene ed inevitabilmente influenzata dalla letteratura del genere, è un assalto frontale. Magari a tratti sgangherato, disordinato e confusionario, con troppa roba dentro (inclusa una sprecata Sigourney Weaver), e "strano" (qualunque sia il senso che ognuno può dare al termine), ma vivo e vitale, pensante. Sguardo personale, personalissimo, rivolto con incoscienza e un pizzico - e più - di vivida follia a un immaginario infettato/influenzato da quei pazzoidi dei Die Antwoord: Ninja/Daddy e ¥o-landi/Mommy ("genitori" gangsta sui generis: brillante intuizione affidare alla inquietante bambolina bionda il lato materno della storia, visto il suo modo sexylolitesco di porsi e il conturbante cantato "bambinesco"): finzionali sé stessi, ma non si tratta di un semplice cameo né di fare i comprimari inerti, quanto una vera e propria parte attiva del processo creativo. Basta guardare un loro video, osservare i riferimenti e i feticci (i topi, le scritte "rivoltose" e sempre scorrette messe ovunque), leggerne i testi e l'iconografia "sporca", ascoltare quei brandelli sonori che accompagnano/fomentano l'azione (Baby's On Fire risplende come sottofondo di gustose sequenze di furti d'auto) per fiutare/sniffare quest'immaginario; che alla moltitudine cresciuta a popcorn e multiplex (per non parlare della critica "poltronata") parrà, appunto, strano (e la reazione potrebbe essere come quella di una simil-Lady Gaga nel video di Fatty Boom Boom), lontano, sgradevole. E la sgradevolezza - di (s)fondo, di materia, di messa in scena - è una scelta e(ste)tica che vibra ed attinge da mondi conosciuti: la giunga urbana di Johannesburg, la (sotto)cultura afrikaner, la violenza (del) presente e l'immancabile visione distopica - ma tremendamente realistica - di un futuro ipertecnologico dominato da contrapposizioni (e miserie) sempre maggiori.  Un caleidoscopio (di tematiche, codici, motivi, soluzioni intrinsesche-visive) fanciullesco e disorientante, beffardo, estremamente e compiutamente freaky, finanche "sovversivo" e offensivo, che - con taglio "documentaristico" e piglio fieramente anarcoide - si riversa su quella che è una colorata e bizzarra parabola sulla diversità (sul valore della diversità). La riflessione, insomma, è sulla natura (dis)umana delle cose e dell'animo, sulla (cattiva) coscienza individuale e collettiva: così quando all'indifeso bambino travestito da droide Chappie, altri bambini di carne ossa e malvagità insita lanciano insulti, sassi e danno fuoco (scena struggente, non sarà l'unica), lo stesso è del tutto incapace (come dovrebbe esserlo chiunque) di dare e trovare un senso, di capire. Il mondo, gli altri, sé stesso. E il proprio Dio (Deon, il genio informatico interpretato da Dev Patel, bravissimo) che, per il puro perverso piacere della scoperta, riesce a formulare e mettere in atto l'intelligenza artificiale, instillandola però in un corpo di titanio e ferraglia che ha le ore contate. «Sei li mio Creatore! Mi hai creato per farmi morire?!», le parole, incredule e scioccate d'un moderno Frankenstein che possiede la virtù dell'innocenza (la battuta «Corri Forrest!», indirizzatagli da un lercio sequestratore, è assieme divertente e crudele) così come il dono della senzienza. Ma pure del perdono, come quando, dopo aver picchiato in un incontrollabile moto d'ira il bastardissimo "fuckermother" cowboy aussie tutto armi e chiesa (un tamarro Hugh Jackman, inedito e in parte), si ferma e passa oltre, ad un livello successivo ("nobilmente" umano). E quando l'ineluttabile giunge - la guerriglia causata dai blackout dei droidi al servizio della legge -, e i corpi (anche di coloro che si ama) iniziano a (de)cadere, solo un ultimo pensiero umanissimo e spirituale, sacrificale, può elevare/salvare l'anima: il trasferimento della coscienza avviene su file e riguarda pezzi di titanio assemblati, ma attiene al più puro dei cuori. Un finale bellissimo e fottutamente poetico.

 

Hugh Jackman

Humandroid (2015): Hugh Jackman

 

Yo-Landi Visser

Humandroid (2015): Yo-Landi Visser

 

Ninja, Jose Pablo Cantillo, Sharlto Copley

Humandroid (2015): Ninja, Jose Pablo Cantillo, Sharlto Copley

 

Dev Patel

Humandroid (2015): Dev Patel






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