Regia di Roy Ward Baker vedi scheda film
E’ il miglior film sul “Titanic” in assoluto. Si tratta di uno straordinario connubio tra fedeltà storica e spettacolo cinematografico, almeno fin dove nel 1959 si poteva concepire lo spettacolo, ovvero l’infinitesima parte d’un Cameron. Ma in questo caso la scenografia è subordinata all’interesse documentaristico e a momenti di grande tenerezza, ciò che pongono questo “Titanic” al di sopra della love story con Di Caprio. Da segnalare il particolare del cavallo a dondolo e l’inno religioso che si ode dalla nave agonizzante, di concerto allo struggente addio dato dal padre ai suoi tre figli. I personaggi trasmettono un senso di languida rassegnazione: dal simpatico Ismay al timido capo-progettista, dal mite comandante al secondo ufficiale (forse per dimostrare la parziale incolpevolezza degli uomini - o della classe dirigente inglese - nei confronti delle fatali coincidenze che provocarono l’affondamento. La colpa, se mai, sembra ricadere sul povero marconista e sulle vedette del “Californian”). Ad ogni modo, risuonano come un monito le affermazioni finali: “Non mi sentirò mai più sicuro di niente. Ciò che era umanamente possibile è stato fatto.”
Tutto concorre a creare un mosaico di piccole situazioni che tratteggiano la vita di bordo, senza nulla togliere al protagonismo del transatlantico. Il quale è ricostruito fedelmente nonostante i limiti scenografici, valorizzato da una cupa atmosfera Belle époque che è propria del “Titanic” (niente a che vedere con la versione del 1979 "SOS Titanic", le cui scene sono state girate sul moderno "Queen Mary"). Cameron si ispirò a questo film per costruire alcune scene, per esempio quando Bruce Ismay si volta ad osservare la nave da bordo della lancia: momento impressionante che da solo compensa la carenza degli effetti speciali. Ci sono le solite imprecisioni circa il gigantesco squarcio e lo scafo che affonda tutto intero, ma era proprio questo ciò che si credette al momento della tragedia. Degna di ogni lode è l’attenzione riservata agli altri due piroscafi, il “Californian” e il “Carpazia”, che completano la necessaria suspense come la cronaca di un documentario.
Da conservare in cineteca.
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