Regia di Giorgio Pasotti, Matteo Bini vedi scheda film
Volto noto del piccolo schermo, Paolo (Giorgio Pasotti) riceve la notizia del malore che ha colto il padre attore (Roberto Herlitzka). Senza troppo entusiasmo, il giovane torna a casa tra le valli bergamasche dove ritrova il genitore, in verità seriamente malato ma tutt’altro che domo, anzi, deciso a tornare in scena indossando la maschera che lo rese importante. Pasotti, anche sceneggiatore, affronta il mito della commedia dell’arte ragionando sull’attualità di Arlecchino, “bergamasco” come lui, affidandosi alla perizia artistica di Roberto Herlitzka, sorta di Ferruccio Soleri in simbiosi con la maschera stessa. Il progetto in sé è interessante, specie perché il protagonista-autore (regia firmata a quattro mani con Matteo Bini) si mette in gioco con generosità prima di tutto fisica. A funzionare meno sono i presupposti narrativi: la parabola del figliol prodigo tutto esteriorità televisiva destinato a recuperare “il gusto pieno della vita” lontano dalla città e a contatto con il teatro, è un po’ banale. Persino superflua: il rapporto schietto con il padre dice già tutto, senza bisogno di ricamarci su. Nonostante i limiti, però, i personaggi sono azzeccati, i comprimari sanno incidere (nel cast interpreti di classe come Gianni Ferreri, Lunetta Savino, Lavinia Longhi) e alla fine Io, Arlecchino si offre come film gentile, ben recitato, in grado di coinvolgere una platea non di nicchia.
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