Regia di Joe Swanberg vedi scheda film
Joe Swanberg è un regista di punta del cinema indie statunitense. Non solo storicamente tocca o sfiora moltissimi dei volti che nel contesto indie diventeranno iconici (Greta Gerwig, Anna Kendrick, Adam Wingard), ma rifugge - almeno fino a All the Light in the Sky - tutte le lusinghe degli alti budget, piazzandosi in una categoria di registi, spesso definiti mumblecore, che di grandi budget effettivamente non se ne fanno nulla. Al tredicesimo lungometraggio (più 3 corti tra cui l'encomiabile episodio screenlife in V/H/S), Swanberg è tentato ancora da amene chiacchiere warholiane su divani, sedie e salottini, dalle nudità esibite e dai fantasmi invisibili della depressione; in compenso, le sue classiche scenografie claustrofobiche qui si aprono in un'abbacinante vista sul mare, forse la prima volta che nel suo cinema un paesaggio diventa protagonista. Non mancano i vezzi POV, le quotidianità ridondanti e l'asessualizzazione dei corpi che fanno del suo cinema uno dei più sgradevoli e cocciuti degli ultimi decenni americani - nel bene e nel male, soprattutto nel male - ma in All the Light in the Sky la staticità delle situazioni finalmente ripaga, poiché il film compensa le sue ingenuità arty in una capacità, non frequentissima in Swanberg, di restituire reale intimità e vicinanza ai suoi personaggi (qui alla bravissima Jane Adams). Non sfioriamo le vibrazioni rohmeriane del particolarissimo Art History, ma entriamo con molta più maturità nei territori hong sang-soo-iani già percorsi (male) in Caitlin Plays Herself.
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