Regia di William Brent Bell vedi scheda film
Nel 2010 uscì Wolfman di Joe Johnston, con Benicio del Toro e Anthony Hopkins, film che ricordo di buona fattura e che riprendeva la figura dell'uomo lupo, oscura creatura mitologica e folcloristica trasportata nel cinema da Curt Siodmak nel 1941 con attori del calibro di Lon Chaney jr. e Bela Lugosi. Non mi aspettavo certo di ritrovare a breve un horror sulla medesima esausta ma, evidentemente inesauribile, figura. Possiamo citare, nella moltitudine di pellicole,Un lupo mannaro americano a Londra (1981) di John Landis che è stato un successo enorme e meritato: un cult-movie, almeno per quelli della mia generazione.
Nelle sale troviamo oggi questo La metamorfosi del male (Wer, 2013) di William Brent Bell, ambientato in Francia (ma tutti parlano comodamente l’inglese): un’intera famiglia viene sterminata mentre campeggia e filma, di notte qualche momento di vacanza. Muoiono, padre figlioletto ed il loro cane, solo la madre sopravvive e in fin di vita ha ricordi di un uomo che divorava i propri congiunti. Quindi non si tratterebbe di un animale e la polizia ricerca un’omicida. E’ incriminato, in breve tempo un ragazzone irsuto, Talan Gwynek (Brian Scott O'Connor), che vive a sole due miglia di distanza con la madre.
Talan è un disadattato, a causa del proprio aspetto fisico – dovuto a una malattia ereditaria - e la sua famiglia ha origini rumene, non s’è mai integrata con la popolazione locale e occupa un terreno di enorme valore economico ma che non vuole cedere. Incaricata d’ufficio per la difesa, è l’avvocatessa Katherine Moore (A. J. Cook) che collabora con l’assistente Eric e il medico legale Gavin (ex fidanzato, ancora innamorato). I tre si convincono che ci sono vari motivi per ritenere che Talan sia innocente e che il capo della polizia locale abbia interesse nel dimostrare l’opposto.
Fin qui sembra un legal-thriller ma le analisi per diagnosticare la malattia di Talan e riconoscerlo incapace di nuocere, danno l’avvio ad un seguito alquanto diverso. Nel narrarci la vicenda, il regista approfitta, anzi direi abusa, del montaggio di video d’ogni genere: dalla telecamera iniziale della famiglia sterminata, alle telecamere a circuito chiuso del commissariato, quelle sulle armi dei poliziotti, i telegiornali, i video dei computer…
Troppo per mantenere continuità: lo spunto iniziale di presentare ogni personaggio con qualcosa di nascosto e tenebroso, si perde nell’azione frenetica alternata a momenti di suspense (per non dire dei corpi dilaniati, accuratamente esaminati da Gavin). Nel complesso alcuni patiti del genere potranno anche essere soddisfatti ma credo che siamo in difetto di un’idea originale, un lampo che sia capace di risollevare l’intero film dalla mediocrità. Il vero spavento potrebbe giungere proprio dal finale aperto… Avranno intenzione di produrre un sequel?
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