Regia di Mamoru Hosoda vedi scheda film
I figli di un lupo mannaro. Protagonisti di una storia dolcissima, fatta di bellezze naturali e scelte difficili. Le favole degli anime giapponesi sono spesso saggiamente crudeli, e conquistano la loro incerta moralea suon di errori, di eroismi sbagliati, di forza che appartiene solo al destino, mentre sfugge di mano agli uomini. Succede anche in questo racconto. Per Hana ed i suoi bambini, rimasti troppo presto orfani del padre, la lotta per la sopravvivenza è una sfida in cui il coraggio, di per sé, serve a poco, perché occorre accompagnarlo con la fortuna, l’intuito, la modestia ed anche un po’ di fantasia. I grandi progetti cedono di fronte alla potenza di un mondo che impone a tutti i costi le sue regole, e in cui la benefica eccezione è sempre nascosta nelle oscure pieghe della sofferenza. Hana, per allevare i piccoli Ame e Yuki, che sono creature incredibilmente diverse, cerca rifugio in un posto isolato, abbandonato da tutti, dove la terra è vergine, vasta e libera, però è avara di frutti. Si accorgerà che scappare non basta, perché, quando ci si ritrova soli ed inesperti, in un luogo sconosciuto, bisogna riuscire a strappare a mani nude l’impossibile da un ambiente che non sembra disposto a concederci nulla. Anche fingere di essere normali, mascherando la propria vera identità, è una strategia umiliante e controproducente, che ci procura simpatie ipocrite e superficiali. Yuki, contrariamente al fratello, sceglierà infine di vivere da umana, ma potrà sentirsi tale, in mezzo ai suoi simili, soltanto nel momento in cui accetterà di non sottrarsi più alla verità. Il cuore di ogni fiaba è una metamorfosi: nei casi più classici si tratta di una trasformazione magica, che cancella il passato con un colpo di bacchetta e spiana la strada ad un futuro definitivamente chiaro, ed eternamente giusto. In questa improvvisa svolta, tuttavia, rimangono fuori le sfumature tipiche della realtà, ossia il dubbio, l’instabilità, la gradualità di un passaggio che non è mai lineare, ed è quasi sempre segnato da una serie di dilemmi laceranti ed insolubili ambiguità. Le figure di Ame e Yuki, imprevedibilmente cangianti tra la natura umana e quella animalesca, racchiudono il dramma di non poter mai sapere, fino in fondo, chi effettivamente siamo, e di non essere dunque in grado di controllare i nostri gesti e dominare le nostre emozioni. Renderci conto che siamo irrimediabilmente indefiniti, esseri in bilico per nascita, è la premessa alla scoperta più importante, sulla quale ognuno di noi può cominciare davvero a costruire un percorso nuovo, personale, unico e irripetibile: è la presa di coscienza del ruolo centrale che, nel nostro cammino esistenziale, spetta alla nostra volontà, alla nostra capacità di avvicinarsi alle cose con un piglio deciso, sincero ed aperto. È lo stesso approccio che ci pone in armonia con il cosmo, con il ciclo della vita che periodicamente si rinnova, con grande fatica, ma con un esito immancabilmente trionfale. Wolf Children è pieno di scene colorate e dinamiche, riprese in soggettiva di uno sguardo che si accende gioioso sul sorprendente spettacolo dell’universo: la visione di una valle verdissima, una corsa attraverso un bosco innevato. Il risveglio è un sogno luminoso che interrompe l’oscurità dell’incubo, il ritorno del sereno che scaccia la tempesta. Il chiaroscuro è l’anima della crescita, dell’ombra che si riconcilia col sole: è l’equilibrio delicatamente tentennante tra gli estremi, che questo film dipinge nei toni romantici e vivacissimi della nostra innata fragilità.
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