Regia di Kimberly Peirce vedi scheda film
La totalità o quasi dei commenti negativi sono tali perché riferiti in confronto al film del 1976 diretto da Brian De Palma. Non so spiegarmi perché in così tanti parlino di un mero remake cinematografico, quando in realtà sarebbero entrambi l'adattamento di un romanzo di Stephen King. Non ho però letto il libro né ho visto il precedente tentativo di trasposizione. Può essere che questo fatto sminuisca la legittimità generale della mia valutazione, mutilata dalle vacanti conoscenze, ma ho pensato che magari il mio contributo potrebbe ugualmente rivelarsi utile a qualcun altro nelle mie medesime condizioni di ignoranza.
Il primo mito da sfatare è che si tratti di un horror. L'errore è lecito, dato che le classificazioni stesse riportano quel genere di appartenenza. Uno spettatore ignaro, come nel mio caso, si appresta allora a provare un minimo di paura o quantomeno tensione. La delusione è inevitabile, sia chiaro. La vera natura di questa storia, invece, è un cuore afflitto dai maltrattamenti, dall'emarginazione e dalla mancanza di affetti. Non si tratta esclusivamente di turbe adolescenziali, benché preponderanti, ma è coinvolta altresì la sfera personale e famigliare. Non ultimi sono presenti e ricorrono elementi o simbologie che appartengono alla religione cristiana.
L'intento è quindi (com)patire e (com)muovere, non spaventare. Si cerca di coinvolgere quanto basta ed eventualmente ispirare l'occasione per aiutare a riflettere. Si ribatterà che non è il primo, che è già stato fatto in passato e che in diversi hanno conseguito risultati migliori. Non lo nego. Il rapporto ai limiti del morboso tra madre e figlia lascia perplessi nella misura in cui sembra che la comunità abbandoni una minorenne nelle mani di una donna accecata dal fanatismo e dalla follia, salvo intervenire soltanto al fine che frequenti la scuola. Il bullismo è senza dubbio uno fra i più sottovalutati flagelli silenti della società e questa potrebbe non essere l'opera più efficace sull'argomento. Il sovrannaturale è gestito talvolta con noncuranza, manifesta in una dose affatto trascurabile di inettitudine dei personaggi nell'accorgersi delle stranezze. Viceversa è interessante e soddisfa il trattamento del rimorso, del senso di colpa e della bontà umana, che ci sono sempre, ma troppo spesso non ce ne accorgiamo, in quanto soffocati (essi) e distratti (noi) dai loro opposti imperanti. Le due figure secondarie che incarnano questi principi mi hanno addirittura convinto più delle protagoniste.
Non ho idea se i difetti siano o meno dovuti alla fonte; tuttavia credo di essere rimasto affascinato dalla suggestione di atmosfera e contenuti. Sono, infatti, propenso alla lettura del racconto omonimo. Chissà che non riesca a risolvere l'arcano di un titolo italiano per me misterioso, non avendo riscontrato nel film alcun indizio che lasciasse intendere una presenza o possessione satanica (se non in una mente invasata e allucinata).
Carrie, un'adolescente presa di mira dalle compagne di classe, ha un dono: può muovere gli oggetti con la mente, un potere che è però anche una condanna. Quando, inaspettato, arriva un atto di gentilezza da una delle sue coetanee, un'occasione di normalità in una vita molto diversa dalle altre, Carrie spera finalmente in un cambiamento. Ma ecco che il sogno si trasforma in un incubo, quello che sembrava un dono diventa un'arma di sangue e distruzione che nessuno potrà mai dimenticare.
La giovane età non rappresenta un ostacolo e dunque incarna con convinta determinazione la parte non facile della protagonista Carrie White. Forse un po' stralunata, ma promossa nell'insieme.
Assorta e precisa nel delineare il profilo della madre, Margaret White. Un riflesso pedissequo del canovaccio che lascia modico spazio all'espressione d' umanità. Brava per questo, in fin dei conti.
Vorrei tanto potermi esprimere sulla musica di Marco Beltrami, ma purtroppo non mi è rimasta impressa. Non la ricordo proprio per nulla e quindi sono costretto ad astenermi.
Mi è sembrato forzato nelle inverosimiglianze, pur con tutte le ovvie licenze del caso, dato il tema. Ed eccessivamente flebile nello svolgimento, scontato nel proteso verso la celebre scena.
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