Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film
L'intervallo di Leonardo Di Costanzo inizia e finisce, apre e chiude il sipario su un piccolo microcosmo pressato dall'Esterno, inequivocabile malvagità, o forse semplice aridità. All'insegna di una semplicità e di un minimalismo degni di un documentarista (e questo infatti è il regista), e senza nessuna traccia di sentimentalismo edificante, il film coinvolge stupendamente, grazie alla buona e pacata interpretazione dei due protagonisti e a una regia mossa e partecipe, che evoca il sogno dal fatiscente reale, come un Dardenne di minore impatto emotivo, ma con altrettanto pressante anti-spettacolarismo. I due giovani attori si rincorrono e si trovano in un antico edificio, dove un pressante passato ha scavato negli intonachi e nelle pareti, tanto da lasciare lacerazioni profonde, come solo la morte sa fare. E durante quest'esplorazione, la mente dei due giovani, vittime di un certo Sud criminale (ma senza generalizzazioni), viaggia riuscendo a strappare sorrisi sinceri da corpi acerbi e compromessi dall'incredibile peso dell'esistenza. Nella loro "matura" inconsapevolezza ('Non esiste ancora, su questo mondo, la cosa che mi piace' dice Veronica in un momento apparentemente inoffensivo), cercano di reinterpretare la loro presenza su una Terra lercia e affollata (una Napoli particolarmente contraddittoria, priva delle tinte infernali garroniane, ma di un grigiore che ispira scioccante indifferenza), in una dimensione vitale che si ritrova compressa fra dentro e fuori, fra civiltà dimenticata e natura selvaggia, in laghi d'acqua su cui navigare e credere di essere sull'Isola dei Famosi (e mai il riferimento a un reality ha mai scaldato così il cuore) e in piccoli anfratti in cui una cucciolata ha trovato riparo dall'oscurità della abituale contingenza. Anche quest'esperienza, spaventosamente paradossale, riesce a far scoprire il sentimento ingenuo e splendido ai due giovani, senza sottotesti né erotici né sentimentali né di vera e propria amicizia, ma all'insegna di una semplice intesa umana, per cui si sentiranno l'uno il "salvagente" dell'altro, una difesa che dovrebbe essere sottintesa in ogni ideale relazione umana. Benché goda di una conclusione netta e che come uno strappo demolisce calorose emozioni contenute, lo stretto percorso narrativo, che più lineare non lo si potrebbe immaginare, si imprime ai nostri occhi, e percorre le tappe di una ring-composition senza volontà autoriali, ma come un sogno reale che non sottende speranza. Il film di Di Costanzo, oltre a procurarsi il suo piccolo e coraggioso posto nel recente (sottovalutato) cinema italiano, procura allo spettatore disposto a osservare senza preconcetti e senza intellettualismi un vero e proprio intervallo dall'immobilità delle cose, in un mondo in cui - e ci avvertono gli uccelli, che battono addirittura il meteo - non fanno altro che piovere i fardelli della vita.
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