Regia di Wes Anderson vedi scheda film
Sinceramente non ho mai particolarmente ammirato l’ironia tutta personale di Wes Anderson, fattore su cui punta molto rispetto ad un aspetto visivo sì, molto sofisticato e intrigante, ma spesso minato da un budget non adeguato a garantirne la perfezione (è forse per questo che recentemente aveva migrato nell’animazione?). Ebbene, il budget è arrivato e Wes ha ottenuto il suo riscatto facendomi entrare a tutti gli effetti nella sua cerchia di fan o, per non esagerare, tra i cinefili a lui interessati.
L’eccellente ricercatezza storica è arricchita da un tocco di fantasia da parte di scenografi e costumisti e dalla caratteristica fotografia color pastello che dà un deciso tratto fiabesco all’intero racconto (tanto che una persona, in apertura al film, si è domandata a voce alta “ma è un cartone animato?!?”). La macchina scivola meccanicamente da un quadro (frame) all’altro stazionando su prospettive simmetriche che rendono gli esterni simpatici diorami di plastilina e gli interni alla stregua di una casa per le bambole. Rarissimi dunque sono i campi/controcampi e le camere a spalla, che rischiano di rendere il film troppo realistico, e gli attori, nonché certi set/modellini, sono inquadrati di profilo, richiamando le illustrazioni dei libri che la protagonista Suzy è solita leggere ad alta voce ad un pubblico formato prima dal solo Sam e poi da tutta la squadriglia dei Boy Scout (una sedia a dondolo da il tocco finale per richiamare alla mente Wendy e i bimbi sperduti).
Il regista si diverte a delineare personaggi fiabeschi e leggeri con l’aiuto di attori grandi(osi), da Willis a Swinton, da Norton a Keitel, da Balaban all’andersiano Murray, senza tuttavia calcare troppo sugli stereotipi, affidando i caratteri più profondi ai due piccoli e bravissimi protagonisti (lei più di lui).
Un poco di auticitazionismo nel finale strizza l occhio ai fedelissimi di Anderson.
Fondamentalmente Moonrise Kingdom è un gradevolissimo film, ma lascia un po’ perplessi la scelta di proporlo come opera d’apertura (mainstream impera?).
Forse siamo ad un festival, forse siamo in Francia, ma qui le luci in sala si accendono solo dopo i loghi delle casa di distribuzione. Questo ha permesso ai più di godere di una simpatica rapsodia descritta e accompagnata dalla voce del protagonista durante i titoli di coda. Non perdetevela.
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