Regia di Matteo Rovere vedi scheda film
Che resta de Gli sfiorati? Poco o niente. Tratto, molto liberamente, da un romanzo molto anniottanta di Sandro Veronesi, sbaglia innanzitutto lo spostamento temporale: certe storie, vent’anni dopo, si svuotano e perdono di forza. Sbaglia il tono, che non sa scegliere tra commedia generazionale e dramma intimista (la responsabilità è del tris di sceneggiatori: Laura Paolucci, Francesco Piccolo e Matteo Rovere, già regista dell’inguardabile Gioco da ragazze). Più che sbagliata, poi, la regia è insignificante e si abbandona solo nei congressi carnali, preferendo l’effettismo e il virtuosismo nel resto della storia.
Che gira molto su se stessa senza mai far capire bene chi diamine siano questi sfiorati dalla vita e senza mai far capire la potenza della metafora della grafia (il protagonista è un grafologo interessato alle personalità delle persone di cui studia le grafie). Aveva a disposizione una scena perfetta per far intendere allo spettatore l’ossessione di Méte, il protagonista, quando ruba un foglio a casa di un’amante focosa ed instabile, e invece non riesce a sfruttarla al meglio.
Non so se sia un’occasione fallita, perché di base non c’era un gran soggetto, ma Rovere si adagia sull’estetica di corpi e di volti giovani troppo belli per essere davvero credibili (Bosca ha le spalle strette ma può andare avanti e maturare, Riondino è ormai una certezza, Santamaria pare un po’ svogliato ma regge e dell’improbabile e splendida Miriam Giovanelli non si dimentica facilmente il fondoschiena mitologico). Unico divertimento: Asia Argento che finalmente recita senza ansie. Trash: Massimo Popolizio con codona selvaggia che canta Eros Ramazzotti in una decappottabile. Avessimo perso pure Popolizio (speriamo di no)?
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta