Regia di Matteo Rovere vedi scheda film
Dopo il successo di Caos calmo, Sandro Veronesi torna al cinema in veste di autore di un romanzo, vecchio di vent'anni, aggiornato ai tempi nostri. Gli sfiorati del titolo sono una generazione, la stessa alla quale all'epoca apparteneva Veronesi, sulle cui esistenze qualsiasi esperienza vitale passa senza lasciare traumi né tracce, in una sorta di perenne impermeabilità alle emozioni della vita. Ed è proprio qui che il film fa uno scivolone clamoroso: ha cioè la pretesa di parlare di una generazione spostando in avanti l'asse temporale, ma non tenendo conto dello scarto ventennale che passa tra quella di Veronesi e i trentenni raccontati nel film. Al centro della trama c'è Mete (Bosca), grafologo con poco lavoro retribuito a disposizione, ma con appartamento a sbafo nel pieno centro di Roma, grazie a papi che fa l'allenatore di calcio (un inguardabile e sguaiatissimo Massimo Popolizio). In quell'appartamento va a piazzarsi per qualche giorno Belinda (i nomi ricordano tanto quelli dei romanzi di Federico Moccia), sorellastra di Mete (Giovanelli), che passa annoiata le giornate sul divano a guardare documentari e a farsi canne. Mete ne è attratto, l'attracco incestuoso è sempre dietro l'angolo e il giorno delle seconde nozze incombe, tra amici sfaccendati o inguaiati e dive in crisi.
Rispetto al precedente Un gioco da ragazze, qui Rovere azzarda qualche mossa di regia tutt'altro che disprezzabile e il montaggio è una mano santa. Ma tutta l'opera suona fasulla: dagli ambienti ultramondani alla Roma da cartolina alla recitazione dilettantesca di Asia Argento e Miriam Giovanelli.
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