Regia di Pasquale Pozzessere vedi scheda film
Con una produzione orgogliosamente indipendente, Pasquale Pozzessere, assente dal grande schermo dal 2005, affronta di petto il dilagare del consumo di cocaina. Anziché proporre strafatti che straparlano, il regista sceglie l’ambiente borghese e chiarisce subito la prospettiva: «Questo è un dramma!». È quello che risponde la madre anziana scioccata al figlio, che minimizza la scoperta del vizio del padre, in apertura del primo episodio. Anche il secondo capitolo ribadisce il concetto: «Tirano tutti a quanto pare», dice Stefano Dionisi cui Anita Caprioli ribatte «No, tutti no!». La famiglia è al centro dei primi due episodi, nel primo con figli che si disinteressano dei genitori anziani e nel secondo con genitori permissivi che guardano solo ai risultati scolastici dei figli. Casi emblematici da manualetto di sociologia, cui si aggiunge nel terzo episodio la donna sola, che in preda a cocaina e vodka ha visioni sul proprio passato. Se questo è il limite dell’operazione va però riconosciuto che l’indagine è condotta con schietta onestà, aperta da un’epigrafe di Freud e chiusa dai dati nudi e crudi sul consumo e sul giro d’affari della cocaina in Italia. Inoltre Pozzessere compie interessanti scelte stilistiche, come ambientare tutti i capitoli nella stessa casa, dalle pareti addobbate di quadri tradizionali e arredata da mobilio moderno di dubbio gusto, un non luogo domestico che potrebbe essere ovunque e difficile da collocare anche cronologicamente, a indicare come la questione non sia nuova né circoscritta. Per la stessa volontà di rendere il particolare universale, Anita Caprioli interpreta sia la madre onesta e preoccupata del secondo capitolo, sia la ragazza strafatta e solitaria del terzo. La regia e soprattutto il sound design differenziano poi gli episodi, dove il primo è quasi privo di musica, il secondo ne è invece sovraccarico e il terzo presenta una sorta di delirio in voce over. Così, se i casi esemplari sono da docufiction a tema, la messa in scena scabra, la durezza delle situazioni (con tanto di nudi frontali) e l’assenza di qualunque estetizzazione del consumo di coca, ne fanno un’opera tutto fuorché televisiva, povera e schematica, ma fuori dal coro.
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