Regia di Stephen Daldry vedi scheda film
Un flusso di coscienza che è verbalmente straripante, fra l'angoscia e il desiderio di liberazione, fra la scoperta e lo smarrimento.
Il "giorno più brutto": così lo chiama Oskar (Thomas Horn), bambino dall'animo rovente e trasparente (sul ricordo di Billy Elliot, altro fanciullo "difficile" ma guerriero del cinema dell'inglese Stephen Daldry), senza peli sulla lingua ma con un grosso fardello dentro. Il film, tratto da un romanzo di Jonathan Safran Foer (adattato da Eric Roth, sceneggiatore di Forrest Gump), è un'apnea turbinosa nei suoi pensieri e nelle sue emozioni inespresse, in un flusso di coscienza che è verbalmente straripante (e a tratti barocco, forse a causa dell'origine letteraria), fra l'angoscia (i vari messaggi in segreteria telefonica, riascoltati solo in seguito) e il desiderio di liberazione, fra la scoperta e lo smarrimento. Gli insegnamenti del (delizioso) papà Tom Hanks, il supporto di un anziano Max von Sydow senza voce (nominato all'Oscar) e l'occhio vegliante di una madre più forte di quanto sembrerebbe (una notevole Sandra Bullock) conducono il protagonista a un intenso vagabondaggio che prova a (ri)comporsi come ricerca della verità e del senso. E se un senso però non ci fosse? A vincere è la lacrima (che fa bene, perché pulisce dalla sofferenza) e l'abbraccio di tutta una comunità (e di ciò che resta di una famiglia): i pezzi si possono riassemblare, ma solo insieme. Un mélo imperfetto ma straziante, che si addentra nell'orrore dell'11 settembre a partire dal privato, attraverso il confronto con i luoghi (concreti e mentali) della metropoli.
Musiche (molto belle ma probabilmente ridondanti) di Alexandre Desplat.
Voto: 7 — BUON film
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