Regia di Simon Rumley vedi scheda film
Sono i colori della bandiera americana quelli che danno il titolo al film, tre colori che rappresentano i sogni infranti nella solitudine e nella sofferenza, nel degrado e nell’autodistruzione di una società morta e sepolta, che non riesce a proteggere i suoi figli ma che anzi li arma di un odio primitivo e di una follia incontrollata, che troveranno naturale sfogo nel sangue e nella vendetta.
Il film scritto e diretto da Simon Rumley ci racconta la storia di tre anime perdute, tre personaggi ai margini vittime e carnefici di un gioco al massacro dove non esiste giusto o sbagliato, bene o male, esiste solo un profondo vuoto da colmare, un pozzo nero da riempire fino all’orlo con quella naturale violenza che è insita nell’animo umano.
Erica (Amanda Fuller) vaga per i locali notturni di una cittadina del Texas concedendo il suo corpo alla prima occasione, non si percepisce amore nel suo atto sessuale, ne il bisogno di sentire qualcosa (qualsiasi cosa), ce solo apparente routine, un gesto freddo e meccanico ma ben calcolato che troverà spiegazione solo nel finale.
Nate (uno straordinario Noah Taylor) è un disadattato reduce di guerra, appena lo vedi capisci subito che ce qualcosa di sbagliato in lui, il suo sguardo, le sue movenze nervose, sono quelle di un uomo pericoloso ma allo stesso tempo bisognoso di affetto, di un contatto umano che sembra essergli estraneo da troppo tempo.
Nate è chiaramente alla ricerca di un anima gemella che improvvisamente sembra individuare in Erica, il primo incontro fra i due non è un granché ma i personaggi troveranno il modo di avvicinarsi, di percepire il dolore che li unisce e che si portano dietro come un macigno da molto tempo.
Poi ce Franki (Marc Senter) giovane membro di una emergente rock band, sua madre è malata di cancro ma lui le sta vicino e cerca di seguirla come meglio può, le dona il suo sangue perché non c'è gesto più naturale per un figlio che donare ad una madre sofferente, peccato che Franki non sappia che il suo sangue è infetto (HIV) e che la madre, contagiata a sua volta, non riuscirà a sopravvivere.
Rumley intreccia i destini di questi tre personaggi, li unisce con un filo invisibile che si chiuderà come un cappio, lo fa nella prima sequenza del film dove non ci sono dialoghi ma solo un ossessivo sottofondo musicale, un pianoforte che suona note dolenti che sanno di morte ad accompagnare il cammino di una cacciatrice in cerca delle sue prede.
Questo incastro di anime dannate non potrà che generare una devastante esplosione di violenza, che nella prima parte del film viene suggerita allo spettatore dall’implacabile regia di Rumley, che scruta i volti sofferenti dei protagonisti pronto a lanciarsi in un caleidoscopio di orrore puro, esplicita manifestazione di una rabbia troppo grande per essere contenuta.
Sarà Nate l’artefice della carneficina, una mattanza che ci raggiunge con potenza inaudita nonostante Rumley non indugi mai sull’effetto gratuito, è proprio per questo motivo che la spietata vendetta di Nate ci apparirà ancora più sconvolgente, perché la sua follia viene mostrata ma anche suggerita, che a volte è anche peggio.
Red White & Blue è un film crudo e spietato ma allo stesso tempo appassionante e coinvolgente, perché lo studio e la presentazioni dei tre caratteri in scena è ben fatto, perché Rumley con una regia a tratti contemplativa a tratti frenetica (con improvvisi stacchi), ci delinea in modo cruento e diretto uno spaccato di solitudine e squallore dove non ci sono vittime ma solo carnefici, dove l’ empatia che di volta in volta proviamo per uno o per l’altro personaggio è solo un’illusione, perché al termine del viaggio ci resterà solo un forte senso di vuoto.
Un vuoto che scompare lentamente, come i colori di una foto bruciata in un fuoco da bivacco, alla fine resta solo il crepitare degli sterpi anneriti dalle fiamme, mentre scorrono i titoli di coda.
Voto: 7.5
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