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Angèle et Tony

Regia di Alix Delaporte vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Angèle et Tony

di laulilla
7 stelle

In questi giorni contraddittori, in cui una parte dei nostri simili vive ancora nell’indigenza, talvolta nascondendo, dignitosamente, la propria solitaria disperazione, può ritornare attuale un film come Angèle e Tony, girato nel 2010 dalla regista francese Alix Delaporte.

 

Angèle (Clotilde Hesme) è una bella ragazza che, dopo due anni di carcere, per motivi che non ci vengono detti, ma che hanno a che vedere con la morte del marito, riesce a ottenere la libertà condizionata.

In questa precaria condizione, sola al mondo e senza lavoro, Angèle vorrebbe, almeno, ricuperare l’affetto del suo bambino, che per il momento vive coi nonni paterni. L’impresa non è tra le più facili, la strada di Angèle è tutta in salita, come ci ricordano le sue pedalate in bicicletta lungo il territorio “up and down” di una triste e grigia Normandia.


Per uscire da questa situazione, Angèle tenta, attraverso un annuncio matrimoniale, di sistemarsi in modo da portare dinanzi al giudice le prove di un avvenuto reinserimento sociale e di una serenità finalmente ritrovata.

 

Tony (Grégory Gadebois) è l’uomo che le risponderà: più maturo di lei, gran lavoratore, rozzo e sgraziato nell’aspetto (ciò che lo rende timido e taciturno), fa il pescatore nello stretto della Manica, in un mare infido (si è da poco portato via suo padre) e avaro: poco pesce per la madre che lo rivenderà sul mercato. Naturalmente, a seconda della stagione, la quantità potrebbe aumentare, ed è proprio questo alternarsi di penuria e relativa abbondanza che gli assicura non la ricchezza, ma una vita dignitosa e pulita.

Anche lui vuole sposarsi per consentire alla madre, vecchia e stanca, di riposarsi un po’.

 

L’incontro dei due non è fra i più felici: troppo diverse da quelle di Angèle sono le aspettative di Tony, che vorrebbe, se non l’amore, almeno un po’ di dolcezza solidale e di tenerezza, difficilissime per lei, che ha alle spalle una storia crudele e dura.
Eppure Angèle, potrebbe farcela, anche se i tempi saranno lunghi: le serve infatti una vera  educazione sentimentale per diventare, finalmente, una moglie e una madre. Il suo sorriso, raro, se non assente, diventa via via più frequente e luminoso: indizio dell’avvenuto mutare dell’animo e della svolta in arrivo.

 

La regista segue con molta finezza introspettiva anche il personaggio di Myriam (Evélyne Didi), la madre di Tony, nel suo graduale e credibile trasformarsi, da riservata e un po’ ruvida donna, per forza di cose diffidente nei confronti della bella e giovane estranea di cui non sa nulla, ad accogliente e solidale figura nel momento in cui ne comprende il dolore e le sofferenze.

 

 

 

 

Il film ha il pregio di scavare in un ambiente poco raccontato, nel quale uomini e donne vivono quasi marginalmente fra altri che di solito li ignorano. La loro vita – per lo più fatta di stenti, di sacrifici e talvolta di meschinità, ma talvolta di slanci generosi – è descritta da una netta e scura fotografia, che indaga comportamenti, sguardi, stati d’animo, con l’indispensabile indugiare di chi vuol capire a fondo un mondo in cui i drammi individuali si consumano in silenzio; in cui i sentimenti delicati, che si celano per pudore, possono diventare affettuosi e accoglienti modi di rapportarsi con il resto del mondo.

 

Gli attori sono molto bravi a interpretare questa difficile condizione, ben diretti da una regista che utilizza il grande patrimonio francese dell’attenta analisi psicologica per darci il convincente ritratto di un milieu sociale, oltre che quello di alcuni umanissimi personaggi.

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