Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film
Darren Aronofsky fa paura, ossessivo, psichedelico, oltraggioso con i suoi film all’acido lisergico, da Pi greco. Il teorema del delirio a The Fountain, accolto alla Mostra di Venezia 2006 come una indigesta favola new age arrampicata sull’albero della vita. E dopo la parentesi The Wrestler, Leone d’oro a sorpresa nel 2008, eccolo di nuovo colpito dall’anatema festivaliero. Il cigno nero massacrato come il corpo sanguinante di Natalie Portman, la dannata dalle scarpette rosse. Un horror sulle punte giocato sui falsi piani, tutto dentro le distorsioni ottiche della prima ballerina scelta per Il lago dei cigni di Tchaijkovskij dal corerografo regista (Vincent Cassel), che dalle piume bianche vuole estrarre il “cigno nero” e andare al di là dei virtuosismi. Al di là della bellezza soffice delle immagini e del perfezionismo di Nina, assediata da apparizioni e miraggi, impermeabile ai deliri di sesso, droga e alcol. Per scioglierla dalla rigidità bambinesca non basta neppure il bacio macho del suo mentore. È lei che dovrà uscire fuori da sé. Nina si scortica viva, si graffia, si rompe come le ossa spezzate delle ballerine da Berkeley al Bolshoi, per strappare dalla bella statuina l’estasi e volare sul palcoscenico. Così Aronofsky senza ritegno ci mostra la metamorfosi, l’atto creativo, la pelle gonfiarsi ed espellere schegge di piume dalla carne viva. Come il corpo maciullato di “The Ram” Mickey Rourke, Nina passa dall’aldiquà all’aldilà spiccando l’ultimo, sublime volo. Il “riflesso”, il doppio, ha vinto sulla copia mortale.
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